di Daniele Santi
Marina Berlusconi, primogenita del Grande Fondatore e matriarca della famiglia, oltre che presidente Fininvest e Mondadori, ha inviato una lettera al direttore del Corriere, Lucio Fontana, dove elenca i rischi di quelle che chiama Big Tech. Non ce ne vorrà il Corriere se la ripubblichiamo a beneficio di lettrici e lettori anche per sottolineare altri aspetti della questione informazione-editoria-radio-televisione-pubblicità nel nostro paese, che sarebbe ipocrita non ricordare.
Caro Direttore,
c’è un rumore di fondo che attraversa il nostro tempo: guerre, radicalismi, intolleranze, manipolazione digitale… Dentro quel rumore la libertà e la democrazia sembrano spesso voci isolate, ma sono le uniche che vale la pena continuare ad ascoltare. E sono voci che chi come noi fa informazione e cultura deve sostenere, proteggere, amplificare.È anche per questo che la Silvio Berlusconi Editore, a un anno dalla nascita, dedica le sue nuove uscite a un tema decisivo: i rischi e i benefici della rivoluzione tecnologica e il suo rapporto col potere. E lo fa pubblicando tre libri contemporaneamente, cosa non comune. Tre prospettive radicalmente diverse, e credo significative, per comprendere il fenomeno BigTech. Quella di una ex-dipendente di Meta, che denuncia la spregiudicatezza di Mark Zuckerberg; quella di uno dei tecno-miliardari della Silicon Valley, che auspica la collaborazione strategico-militare tra Stato e colossi del web; e quella di un sociologo francese che già negli anni ’50 prevedeva una tecnologia capace di «progredire senza intervento umano».
Con queste parole, Jacques Ellul, in La Società Tecnologica, anticipava il presente. Oggi le prime cinque BigTech assieme – Nvidia, Microsoft, Apple, Alphabet, Amazon – sono arrivate a superare il Pil dell’area euro. Ma attenzione: ridurre tutto ai valori economici non basta, il potere dei giganti della tecnologia va ben oltre.È un potere che rifiuta le regole, cioè la base di qualsiasi società davvero funzionante. Noi editori tradizionali paghiamo le tasse, rispettiamo le leggi, tuteliamo il diritto d’autore e i posti di lavoro – basti pensare che in Italia le piattaforme occupano appena un trentesimo dei lavoratori del settore. Eppure, quasi due terzi del mercato pubblicitario globale vengono inghiottiti dai colossi della Silicon Valley, che fanno esattamente il contrario: per dirla con il titolo del saggio firmato dalla ex-Meta Sarah Wynn-Williams, sono Careless People, «gente che se ne frega».
È concorrenza sleale bella e buona. Ben venga, dunque, il Digital Package varato dall’UE tra il 2016 e il 2024 a tutela degli utenti delle piattaforme. Per Donald Trump va smantellato, perché è un ostacolo: in teoria al progresso, più realisticamente al profitto, che, sia ben chiaro, è fondamentale: da imprenditore non sarò certo io a negarlo. Ma sono anche convinta che un mercato sia veramente libero solo quando risponde a regole. Non troppe e soprattutto giuste – in questo l’Europa spesso inciampa. Mi auguro davvero che sul digitale la Commissione non indietreggi, anche – e forse soprattutto – alla luce della enorme capacità di influenza culturale nelle mani di BigTech. Non è più solo un problema degli editori, riguarda tutti.
A differenza dei media tradizionali, le piattaforme prosperano in un far-west dove nessuno risponde di quello che ha scritto, l’importante sono i clic. E così si solleva la marea delle fake news, del linguaggio d’odio, del rifiuto delle opinioni diverse. In sintesi, il brodo culturale della polarizzazione e della radicalizzazione, in cui affoga purtroppo anche la politica.
L’intreccio tra politica e BigTech negli Stati Uniti è sotto gli occhi di tutti e porta enormi vantaggi a un Paese che della tecnologia ha bisogno per affrontare le sfide geopolitiche. Lo spiega bene il ceo di Palantir, Alexander Karp, nel suo La Repubblica Tecnologica. Ed è un legame cementato anche dalla convenienza. In cambio di un sistema normativo favorevole, i giganti del Tech mettono sul piatto generosi finanziamenti e i dati di miliardi di persone. La Wynn-Williams fa l’esempio del «progetto Alamo», con cui Facebook nel 2016 rese disponibili a Trump «i movimenti delle carte di credito, gli acquisti, i siti web visitati, l’auto guidata, la residenza» di 220 milioni di americani.
Lo sappiamo, ma è bene ricordarlo: questi colossi non sono più solo aziende private, sono attori politici. Con una differenza sostanziale rispetto a chi fa politica di mestiere: i padroni della Silicon Valley restano sempre al loro posto. Grazie a una buona dose di ipocrisia, sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa. Del resto, nell’era della polarizzazione si sbanda da un eccesso all’altro. Ma intanto libertà e democrazia rischiano di finire stritolate nella morsa degli opposti, che distrugge il dialogo e alimenta l’intolleranza.
È un pericolo che non si scongiura certo alzando barricate contro il progresso. Come dice Ellul, «non possiamo più mettere l’essere umano da una parte e gli strumenti dall’altra»: la rivoluzione digitale è ormai in ogni nostro gesto. E poi sarebbe anche sbagliato. La tecnologia ha portato enormi miglioramenti in molti aspetti della nostra vita, tanto che siamo disponibili a barattarne le comodità con i nostri dati personali, sottovalutandone le dirompenti conseguenze.
Eppure, davanti a certe derive inquietanti, la domanda s’impone: cosa possiamo fare? I regolatori devono garantire norme eque. La politica deve impedire eccessive concentrazioni di potere. Ma cosa può fare un editore per evitare che il treno deragli? Certamente non miracoli, ma può sempre dare un piccolo aiuto a chi vuole capire come è fatto, quel treno, in quale direzione corre. E dove la curva dei binari è più pericolosa.Mi permetto una provocazione: e se proprio nell’era del «Muoviti veloce e rompi tutto» – il motto di Zuckerberg – ci trovassimo a riscoprire la forza lenta, ma costruttiva dei cari vecchi libri?
I libri sono da sempre efficaci anticorpi contro barbarie e totalitarismo, ma oggi assumono anche una funzione nuova: quella di anticorpi contro l’assottigliamento del pensiero imposto dallo smartphone, veri e propri strumenti di resistenza contro l’omologazione digitale.Mi viene in mente Fahrenheit 451: nel 1953 Ray Bradbury immaginava un futuro dove un regime totalitario brucia i libri perché sono i migliori custodi della memoria, fanno ragionare la gente e quindi creano dissenso. Fortunatamente il presente è ben diverso – per lo meno nel nostro Paese – eppure, anche nel regime digitale, c’è sempre bisogno del racconto di un buon libro: ci rende più critici e consapevoli, meno vulnerabili alla manipolazione. La responsabilità principale di chi fa il mio mestiere, in fondo, sta tutta qui. Nel garantire che quel meraviglioso racconto possa continuare, con la massima libertà. Basterà? Non mi faccio illusioni. Ma almeno, nel mare dei social e dell’intelligenza artificiale, resterà qualche isola di saggezza e di intelligenza umana.
Vale pena dunque, digitare alcune righe di informazione con dati estrapolati anche grazie all’IA sull’attuale assetto di colei che, in veste di presidente di Fininvest e Mondadori, scrive a Lucio Fontana gridando al lupo.
Il sistema mediatico controllato da Fininvest: televisioni, radio ed editoria
Il gruppo Fininvest S.p.A. è l’holding della famiglia Berlusconi e rappresenta uno dei poli più influenti del sistema mediatico italiano e europeo. Attraverso la sua partecipazione di controllo in MFE – MediaForEurope N.V. (già Mediaset S.p.A.) e in Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Fininvest coordina un articolato insieme di mezzi di comunicazione che spaziano dalla televisione commerciale all’editoria periodica, dalla radio alla pubblicità multimediale.
A partire dalla televisione: il cuore del gruppo
L’attività televisiva è gestita da MFE / Mediaset, tramite la sub-holding R.T.I. S.p.A., che controlla le principali reti generaliste italiane: Canale 5, Italia 1 e Rete 4, oltre a canali tematici come La5, Iris, 20 Mediaset, Cine34, Focus e Top Crime. La società detiene inoltre la piattaforma on-demand Mediaset Infinity e partecipa in Medusa Film S.p.A., attiva nella produzione e distribuzione cinematografica.
A livello internazionale MFE controlla Mediaset España Comunicación S.A., che gestisce i canali Telecinco e Cuatro, con contenuti che ricalcano esattamente la produzione italiana, destinata a un pubblico gusti simili, e confermando la vocazione europea del gruppo.
Pubblicità e raccolta commerciale
La raccolta pubblicitaria televisiva e multimediale è affidata principalmente a:
Publitalia ’80 S.p.A., concessionaria storica per le reti free italiane;
Digitalia ’08 S.r.l., per la televisione a pagamento;
Publieurope Ltd., per il mercato internazionale.
A queste si aggiunge Mediamond S.p.A., joint venture paritetica tra Mediaset e Mondadori, che gestisce la raccolta pubblicitaria integrata su televisioni, radio, siti web e periodici. Questa collaborazione rappresenta il punto di contatto strategico tra i due poli mediatici del gruppo Fininvest ed è evidente a chiunque che un gruppo mediatico con una simile potenza di fuoco, non possa rischiare a sua volta di comportarsi come le Big Tech cui si riferisce Marina Berlusconi. E poi ci sono le radio, di cui pochi parlano.
Radio: il polo RadioMediaset
Nel settore radiofonico, MFE controlla RadioMediaset, leader del comparto privato in Italia.
Sotto questo marchio sono riunite Radio 105, R101, Virgin Radio Italia, Radio Subasio, Radio Monte Carlo e altre emittenti locali affiliate.
Attraverso questa rete, il gruppo copre l’intero spettro del pubblico radiofonico nazionale, con una forte integrazione commerciale e promozionale con le piattaforme televisive e digitali e frequenti interazioni tra mezzi.
L’editoria: il mondo Mondadori
Sul fronte editoriale, Fininvest controlla anche Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., il maggiore gruppo italiano del settore libri e periodici.
Mondadori pubblica decine di testate tra le più diffuse nel Paese, tra cui Chi, Donna Moderna, Grazia, TV Sorrisi e Canzoni, TuStyle, Starbene, Focus, Focus Junior, GialloZafferano, CasaFacile e Casabella.
Le attività sono gestite tramite la controllata Mondadori Media S.p.A., che cura anche i siti e i canali social collegati ai brand editoriali.
Oltre ai periodici, il gruppo presidia l’editoria libraria con marchi come Einaudi, Mondadori, Piemme, Sperling & Kupfer, Rizzoli e Electa, confermando una presenza trasversale su quasi tutti i segmenti del mercato culturale italiano.
Un sistema integrato e potenti sinergie
La struttura azionaria di Fininvest consente una sinergia operativa tra televisioni, radio, web ed editoria.
Mediaset fornisce la piattaforma televisiva e radiofonica, Mondadori il patrimonio editoriale e librario, mentre Mediamond rappresenta il ponte pubblicitario che collega questi mondi.
Il risultato è un potente ecosistema mediatico integrato, capace di incidere significativamente sull’informazione, l’intrattenimento e la pubblicità in Italia e, in parte, in Europa. E a proposito della frase: “sono passati dal wokismo al trumpismo con la disinvoltura di un cambio di felpa” tocca parlare anche di Forza Italia.
La dimensione politica: l’eredità di Forza Italia e l’influenza della famiglia Berlusconi
La storia di Mediaset e della famiglia Berlusconi è profondamente intrecciata con la politica italiana, in particolare con la nascita e l’evoluzione di Forza Italia, il partito fondato da Silvio Berlusconi nel gennaio 1994 e di cui è attuale presidente Antonio Tajani. L’ingresso del fondatore di Fininvest in politica rappresentò un punto di svolta nella storia repubblicana: un imprenditore mediatico che, grazie anche alla propria rete televisiva e alla capacità comunicativa costruita nel settore privato, riuscì a trasformarsi in leader politico e capo di governo grazie anche all’immagine, i linguaggi e i format derivati dalla televisione commerciale di Mediaset, che furono elementi centrali della strategia comunicativa di Forza Italia che adottò tecniche di marketing politico e di comunicazione di massa fino ad allora sconosciute, e totalmente innovative per l’Italia del tempo, basate su spot, slogan e una forte personalizzazione del messaggio attorno alla figura di Berlusconi.
Questo modello, spesso definito “telepopulista” o “postmoderno”, contribuì a rivoluzionare la relazione tra politica, media e opinione pubblica.
Durante i quattro governi Berlusconi (1994–1995, 2001–2006, 2008–2011, 2022 con Forza Italia parte della coalizione di centrodestra), il legame tra la sfera mediatica e quella politica è stato costantemente oggetto di dibattito, specialmente per i possibili conflitti di interesse derivanti dalla contemporanea proprietà di un grande gruppo televisivo privato e dal ruolo di Presidente del Consiglio. Le istituzioni e l’Autorità per le Comunicazioni (AGCOM) hanno più volte analizzato la concentrazione mediatica del gruppo. Più volte lo hanno ignorato. E siamo ancora a quel punto lì.
Anche oggi, dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi (2023), Forza Italia continua ad essere parte stabile della coalizione di centrodestra guidata da Giorgia Meloni, con la guida politica passata ad Antonio Tajani e, pur non essendo più centrale come un tempo, il partito di famiglia resta un elemento identitario della destra moderata italiana, mentre il gruppo Mediaset – ora MFE – mantiene un’influenza significativa nel panorama informativo e culturale del Paese. Come la lettera al Corriere della presidente Fininvest e Mondadori, una sorta di redazionale promozionale sulla nuova label editoriale legata alla galassia dei berluscones, dimostra ampliamente.
(19 ottobre 2025)
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