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Guerra e pace, al di là dei principi morali #gaiambiente di Vanni Sgaravatti

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di Vanni Sgaravatti

Nel corso del 1° maggio abbiamo assistito ad una concentrazione di messaggi rivolti alla guerra, come in questo momento è naturale e giusto che sia. Come in tutti i messaggi che richiamano principi generali e inevitabili ri-narrazioni storiche a sostegno della propria visione, anche quelli sulla pace e la guerra contengono un livello di ambiguità, quando li si volesse trasformare da principi di riferimento ad indicazioni di comportamenti sociali.

E questo è, fino ad un certo livello, fisiologico, ma diventa critico quando si vuole far passare un proprio punto di vista soggettivo sulle indicazioni comportamentali da tenere, come la conseguenza di un’incontestabile verità. Anche io sono tentato di pensare che il mio punto di vista sia “oggettivo”, talvolta ne sono emotivamente convinto, ma con un po’ di sforzo capisco che quello è solo il mio punto di vista. Anche se non pretendo di essere neutrale, provo, però, ad estrarre qualche ragionamento “logico” e condivisibile dai messaggi generali tanto ripetuti nei media in questi giorni.

Il primo è: “No Nato, No Putin”

Ma Putin è un decisore, mentre “Nato” è una sigla che identifica un raggruppamento di Stati coinvolti, soprattutto, sulla base di una reciproca difesa, in caso uno di questi fosse attaccato. Ci sono state eccezioni in Bosnia, rispetto alla missione di difesa, anche se non è stata un’invasione della Nato, ma un supporto all’Onu per evitare un genocidio, al di là degli interessi di ogni contendente che ne giustificavano l’impegno. Da allora fino ad oggi la Nato, secondo le accuse dei “no Nato, no Putin” è uno strumento per attuare l’atteggiamento aggressivo e imperialista, attribuito agli occidentali, americani in testa.

Equiparare Putin a Nato non è, però, segno di un pacifismo gandhiano. Chi, se non è un russo che avesse deciso e agito per la guerra, può essere pro-Putin? Nel momento in cui i ruoli sono diversi tra aggressore ed aggredito, quali che siano le ragioni dell’aggressore, e, quindi, in presenza di un’asimmetria di posizioni, un appoggio equidistribuito è una scelta di campo, anche se non significa una condivisione degli obiettivi e delle decisioni della parte russa. Ma andiamo oltre alle sigle riportate nell’etichetta e parliamo del principale soggetto accusato da parte dei “no Nato, no Putin”, cioè gli americani, che possono vedere la Nato come uno strumento tra i tanti, per continuare ad essere “aggressivi”, quando lo vogliono essere.

Il primo imputato americano in ordine cronologico è stato Clinton. Sostanzialmente risponde in un’intervista, a forza di essere chiamato in causa, che la sua amministrazione ci provò a trattare la Russia come un partner, affidando alla federazione la gestione di tutte le armi nucleari appartenenti agli stati ex sovietici, in primis l’Ucraina, dando alla Russia il ruolo di partner commerciale privilegiato. Il movente americano rende, a dire il vero, credibile la sua dichiarazione. Avrebbero introdotto il neoliberismo in Russia, favorendo i profitti delle aziende americane. Ma la Russia non ha potuto prestarsi, visto che, in una prima fase, il capitalismo è particolarmente selvaggio e oligarchico, e visto che in questa fase storica ci sono dei limiti ad un neocolonialismo russo, come fu quello inglese. I problemi sociali, ambientali mondiali e la concorrenza della Cina impedivano alla Russia di esportare lo sfruttamento e allargare la base dei consumatori benestanti russi a scapito di altri popoli, come fecero, ad esempio, gli inglesi per compensare le disuguaglianze nella prima rivoluzione industriale in Inghilterra. Sempre in questa rapidissima carrellata di colpe storiche attribuite agli “yankee”, in cui, peraltro, possono essere accusati di un comportamento come del suo contrario, cioè di non essersi opposti militarmente prima, in Siria, per la Cecenia, per i Curdi, per la Libia, ecc., possiamo arrivare, saltando una serie di passaggi storici, fino alle rivolte di Piazza Maidan con gli oltre 100 morti, dovuti alla repressione del premier ucraino filorusso. Era il 2013, non il 2014.

Le proteste avvenivano perché il premier aveva rotto quel patto di amicizia e collaborazione che era stato appena stipulato con gli occidentali. Ci sono state poi elezioni considerate libere e corrette dagli osservatori che hanno fatto prevalere Zelenski con il 70% dei voti. Scoppiano poi rivolte con morti ucraini nella cosiddetta liberazione pro-russa della Crimea. Quando questo si è ripetuto nel Donbass, nel 2014, hanno trovato pronti gli ucraini, immagino ben addestrati dagli americani, che si sono contrapposti e hanno fatto e avuto morti e feriti. E, quindi, dal 2014 ci sono stati morti e feriti da tutte le parti: militari e vittime civili, 2300 in 8 anni, che non si sa da che parte stessero: non glielo hanno chiesto prima di morire.

Immagino, però che ci siano stati crimini, da entrambe le parti.

In sintesi, delle due l’una: o si pensa che l’influenza occidentale è stata coercitiva, ricattatoria in Ucraina così da instupidire le menti o da appoggiare una minoranza militare a reprimere la maggioranza (come gli americani fecero in Cile), oppure si pensa che il modello occidentale abbia sedotto (nel senso di condurre a sé) gli Ucraini (e, per i miei “gusti”, così è). Come dire: non esporto la democrazia con la forza, ma se ti piace come siamo, accomodati.

Anche la parola: “sfera di influenza” è ambigua. In una cultura non-weird, un po’ di tipo clanistico, la sfera di influenza è recepita come qualcosa di pianificato centralmente da una forte dirigenza. Tanto per fare una metafora assomiglia a quando si determinava una religione di un popolo sulla base della conversione del leader. Per altri, nella cultura Weird, la sfera di influenza si intende anche come una libera attrazione di un modello culturale su un altro. È vero che, in passato, siamo stato tanto colonialisti, abbiamo usato le armi per imporre il nostro sistema, dalla guerra dell’oppio in avanti, che è difficile identificare quando è una o è l’altro tipo di sfera di influenza. Anzi, temo che sia grazie alla forza militare e di deterrenza russo e cinese, se adottiamo meno la forza e più la seduzione per influenzare la nostra sfera.

Quindi, con questo, voglio anche dire che per me lo schierarsi contro l’invasione russa non è determinata dalla convinzione che siamo ontologicamente tra i buoni ed i giusti.

Qualcuno, ad esempio, per dire che gli Americani sono i più cattivi di tutti, citano la terribile tragedia della bomba atomica: sono gli unici ad averla usata. Evito di perdermi in lunghe considerazioni di contesto o di paradossi storici che richiamassero gli orrori delle guerre passate a partire da Ivan il Terribile. Piuttosto, mi viene da controbattere, che le guerre non si fanno mai perché siamo i portatori immacolati di crociate verso il bene, altrimenti dovremmo accettare di buon grado il terrorismo islamico, visto tutte le guerre di religioni che abbiamo fatto in Europa. Quindi, il nodo che distingue, più o meno consapevolmente le diverse posizioni, sta sempre lì: gli ucraini se fossero liberi di decidere non sacrificherebbero la loro vita per la loro nazione e, non avrebbero ceduto alle lusinghe occidentali? Se lo fanno è perché obbligati o vittime di un “lavaggio del cervello” a stelle e strisce?

Secondo punto: “No al riarmo.”

Seguiamo un ragionamento. Due possibili strade: a) noi italiani portiamo avanti la posizione del disarmo a tutti i costi: se l’Europa lo accetta bene, altrimenti ci adattiamo e ci riarmiamo, rispettando gli impegni internazionali oppure; b) non ci riarmiamo comunque, ci comportiamo come la Turchia (Lavrov, non si sorprenderà così dell’atteggiamento ostile degli italiani).

Ma proseguiamo con qualche altro dubbio: noi pensiamo che facendo il primo passo, disarmandoci, anche la controparte abbia tutto interesse a non riarmarsi e starà buona nei suoi confini naturali. Ma quali sono? E se poi la pensiamo diversamente sui confini naturali? La controparte negozierà senza utilizzare la forza, perché noi siamo meno militarmente aggressivi? Non ci sono esempi storici di questi comportamenti, al di fuori di Ghandi con gli inglesi, però se qualcuno la pensa in questo modo, disarmarci può avere un senso. Ma occorre prendersi le responsabilità di diagnosi e previsioni che rendano coerenti le relative proposte, altrimenti sono semplici auspici e spesso utopie. Rimarrebbe comunque quel piccolo nodo degli Ucraini, la cui posizione, secondo i “no-armi”, è il frutto di una politica di contrapposizione che ora si vuole cambiare e che, quindi, verrebbero sconfitti.

Anche qui, cosa credono i “no-armi”?  Che gli Ucraini sono un popolo troppo nazionalista, non come noi? non come i francesi? Che finirebbero a vivere una vita del tipo russo a cui sono abituati? E quindi, pensano che per loro la resa abbia un costo accettabile, diversamente dai nostri partigiani? Oppure pensano che parte del popolo ucraino finirebbe represso in un quasi genocidio? Oppure, forse, si pensa che il disarmo unilaterale occidentale farebbe diventare collaborativi, meno aggressivi i russi anche nei confronti dei loro fratelli ucraini? Quindi si vuole dire che il modello della parità delle forze nucleari che ha evitato il conflitto, non vale per le armi convenzionali e che per questo dovremmo disarmarci unilateralmente?

Del resto, ho bene in mente il richiamo a cercare di vedere con occhi differenti un tragico problema: se si vuole trovare una soluzione non si può pensare di cercarla con la stessa mentalità che il problema lo ha creato. In questo senso i richiami delle Autorità morali religiose e non solo verso una ricerca della pace a tutti i costi risuona forte nei cuori di ciascuno. Queste indicazioni possono persino ispirare il “martirio” per qualcuno che trova un senso della vita nell’immolarsi verso beni e principi superiori: il rispetto della vita umana.

Però quelle Autorità non “ordinano” il martirio, ma soprattutto sono rivolte alle coscienze di ciascuno: possono perfino suggerire di “porgere l’altra guancia”, ma non suggeriscono a qualcuno di premere per far porgere l’altra guancia ad un altro. Non prendiamo, questi richiami, come un’incitazione a spingere chi riceve una violenza ad accettare di subirne un’altra, in particolar modo se lo si fa, per evitare che la prenda tu, la violenza.

Terzo punto: “dobbiamo fare gli interessi degli italiani”

Comincerei con il dire che, indipendentemente dalla guerra in Ucraina, dovremmo immediatamente e, pagando un costo necessario, essere meno dipendenti dalle fonti energetiche non rinnovabili, e derivanti da paesi che risultano aggressivi, qualsiasi siano le loro ragioni, come la Russia. Quindi se qualcuno fosse d’accordo con l’embargo, lo farebbe, comunque, per il bene degli italiani.

Poi naturalmente separare il bene degli italiani da quello degli ucraini comporta, per coerenza, rispondere in un certo modo alle domande riportate nei punti precedenti sul “no al riarmo”. I russi, secondo quelli che non pensano agli obiettivi ucraini come obiettivi europei, vogliono solo il Donbass o l’Ucraina e comunque, a maggior ragione, se noi ci disarmiamo loro non saranno più aggressivi e quindi non saranno neppure una minaccia per noi?

Se qualcuno crede questo può pensare che il nostro sistema e il nostro stile di vita rimanga intatto, compreso quello di permetterci di protestare e, magari fosse, di riformare il nostro sistema. Non ci sarebbero più minacce, secondo questo ragionamento perché altri si sacrificherebbero per disinnescare l’aggressività, perché i commerci cinesi e l’ombrello americano (Trumpisti permettendo) ci permetteranno di difenderci. Come si può immaginare, ho un sentimento e una valutazione molto diversa sul fatto che gli interessi italiani possano essere indipendenti da quelli europei e persino ucraini e, questo, anche per ragioni più profonde, che però accennerò nelle conclusioni.

Postilla: propaganda e fake news da una parte e dall’altra pari sono

Tutti siamo parziali e soggettivi per definizione e se sottolineassi delle differenze tra propaganda russa o ucraina, non lo farei sulla base della diversa onestà dei soggetti che diffondono notizie, pareri, ma, piuttosto, dal diverso funzionamento dei sistemi.

Da questo punto di vista, mi è capitato di ascoltare una rappresentante della comunicazione del Ministero dell’interno Russo in un talk show televisivo italiano, mentre si confrontava con nostri giornalisti. Qualcuno di questi le diceva che, essendo a libro paga del Ministero, non poteva essere considerata indipendente. Lei ribadiva che la sua voce era indipendente perché era stata sul campo. E lo diceva in modo convincente. Naturalmente gli altri giornalisti avrebbero potuto dire che c’erano andati anche loro sul campo e oltretutto non irregimentati nelle rigide regole imposte dall’esercito russo.

Ma non è questo il punto. Il punto è la solita separazione tra chi opera e chi controlla e il fatto che i due soggetti committenti, il Ministero dell’interno, coincideva in entrambe le funzioni. La risposta non poteva essere, guardate come sono brava, carina e convincente. Non sono questi gli elementi che assicurano l’indipendenza e la separazione delle funzioni. Mi sembra di ritornare al dibattito sul mainstream fatto con un mio amico no-vax, quando diceva: “E tu ci credi alla commissione pubblica del farmaco?”. E a lui rispondevo che almeno ci sono procedure trasparenti, pubbliche per determinare l’indipendenza della Commissione, ci saranno imbroglioni che pensano di bypassare queste regole, ci saranno controllori che sanzionano, corruttori che li contrastano e poi una magistratura, che lotta per la sua indipendenza, che cerca di mettere in galera tali corruttori.

Nell’altro sistema tutta questa fatica non si fa, non è necessaria.

E, quindi, in conclusione ….

Ho provato ad analizzare criticamente le ambiguità di messaggi, partendo non tanto da quelli che sono lontani dal mio pensiero, ma più che altro da quelli che, al contrario, suonano bene proprio alla mia morale istintiva. Ad esempio, tutti quelli che inneggiano alla pace. Ma non mi sottraggo a citare, in conclusione, i miei “gusti” in questa situazione: penso che dovremmo cambiare il nostro stile di vita, pagare un costo per diversificare le fonti energetiche sia per salvare il pianeta, che per essere meno dipendenti da Stati aggressivi, dovremmo imparare dalla forza d’animo di chi lotta per dei valori, anche se qualcuno non condivide quel nazionalismo che deriva da specifiche storie di un paese.

Mi sento europeo, italiano e umano e, quindi, difendo i confini, europei, italiani e del pianeta nel momento in cui la maggioranza di queste collettività si riconoscono in principi comuni e non tanto per una semplice appartenenza geografica. Anche se questa aiuta, in quanto produce segni e simboli che facilitano l’aggregazione.

Penso che dovremmo difenderci dall’aggressione russa, per il pericolo che tali aggressioni diventino la normalità e il nuovo modo di dirimere le controversie, o meglio, un vecchio modo che noi occidentali conosciamo molto bene, così che eventuali periodi di cessazione delle ostilità non siano solo tregue momentanee.  Dovremmo rispettare i valori di un popolo, compreso quello di chi si sente di sacrificare la vita per la propria libertà, come fanno anche i ragazzi russi, con la differenza che i valori che perseguono questi sono, nello specifico di questa guerra, limitare la libertà e i valori dell’altro.

Dovremmo difenderci, ma contemporaneamente lottare per la famosa auto determinazione dei popoli, che vuole dire anche l’autonomia del Donbass e anche di altri territori, ma che, in considerazioni dello stato di privazione di una reale sovranità di questi, vadano aiutati a determinare quelle condizioni, verificate da parti terze, perché la volontà di autodeterminazione sia reale e realmente rispettata.

Va detto, però, che solo la democrazia assicurerebbe il rispetto dei diritti della minoranza che non si riconoscono negli orientamenti di appartenenza della maggioranza. E va detto che questa mancanza di democrazia viene poi di nuovo fisiologicamente presa come scusa per la protezione delle minoranze. E va detto ancora che … va bene, ho capito, rischiamo di trovarci daccapo.

La fiducia è un elemento fondamentale per uscirne, ma non è una condizione abilitante, ma il risultato di un processo, come lo è la lotta per il bene e il male, in cui non ci sono ricette giuste da seguire.

 

(2 maggio 2022)

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