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Caso Walter Biot: il vero obiettivo è l’Ucraina #Giustappunto di Vittorio Lussana

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di Vittorio Lussana, #Giustappunto

Il ‘caso Walter Biot’ sta ‘squarciando’ alcuni scenari relativi ai nostri rapporti con la Federazione russa di Vladimir Putin. In tal senso, è interessante andare a ‘pescare’ una pubblicazione abbastanza recente, edita dalla Columbia University Press, intitolata ‘Russian Active Measures Yesterday, Today and Tomorrow’, firmata dalla studiosa americana di origine russa, Olga Bertelsen, docente presso l’Università aeronautica ‘Embry-Riddle’ di Prescott, in Arizona (Usa).

Si tratta di una vera e propria antologia di contribuiti di studiosi di tutto il mondo sulle attività segrete russe, che dimostrano le varie forme di ‘disturbo’ attuate in questi ultimi decenni da Vladimir Putin negli ambienti politici e culturali di molti Stati occidentali. Il metodo è soprattutto quello di diffondere disinformazione; falsificare fatti e notizie; cooptare docenti del mondo accademico; fornire sostegno a favore di blogger e personaggi discutibili, portatori di ‘messaggi’ di sostanziale destabilizzazione interna attraverso ‘fake news’ o notizie decontestualizzate, anche e soprattutto sui social network.

Ovviamente, in questa raccolta di informazioni non poteva mancare un capitolo dedicato all’Italia, intitolato ‘Russian Influence on Italian Culture, Academia and Think Tanks’, curato da Luigi Germani e Massimiliano Di Pasquale. Il primo è il presidente dell’istituto di Scienze sociali e studi strategici ‘Gino Germani’; il secondo è un esperto di questioni ucraine. In sostanza, nel capitolo dedicato al nostro Paese, questi due studiosi spiegano ai lettori americani cosa sia avvenuto in questi ultimi anni anche da noi, attraverso un uso mirato di servizi video, canali Youtube e il ‘lancio’ di personaggi assai opinabili, che forniscono un ‘taglio’ quasi sempre infondato alle notizie non solo sulla rete web, ma anche sui canali del tanto odiato ‘mainstream’, genericamente accusato di imporre all’opinione pubblica un’informazione falsamente rassicurante, imperniata sul ‘buonismo’ e su una sorta di ‘pensiero unico’ in merito a molte questioni.

Si tratta di personaggi divisi in due grandi categorie: gli ‘euroasianisti’ e i semplici ‘simpatizzanti’. Come già accennato, i primi esprimono visioni radicali e si richiamano ad Aleksandr Dugin, un analista politico russo che in molti considerano il nuovo Rasputin del Cremlino, noto per le sue opinioni ipertradizionaliste e fasciste. Gli ‘euroasianisti’ considerano la Russia di Putin un punto di riferimento preciso contro l’Unione europea e le élite globaliste, che avrebbero privato gli italiani della loro sovranità. E il loro scopo non è affatto quello di lottare e protestare contro la globalizzazione, nei confronti della quale potrebbero solamente ‘dare di cozzo’, bensì quello di minare alle fondamenta il progetto d’integrazione europea, al fine di riuscire a trascinare l’Italia sulla strada di un processo di ‘Italexit’ molto simile a quello intrapreso, assai sventuratamente, dal Regno Unito.

La seconda scuola di pensiero, invece, quella dei cosiddetti ‘simpatizzanti’, mantiene una posizione più moderata, basata su considerazioni di ‘realpolitik’, in cui il rapporto tra Italia e Russia viene visto come un’opportunità piuttosto che una minaccia. Anche in questi ambienti c’è risentimento verso un’Europa a guida tedesca, unita spesso a simpatie nei confronti dell’ex presidente americano, Donald Trump e per la Brexit.

In ogni caso, l’idea maggiormente fondata di questi cosiddetti ‘simpatizzanti’ è soprattutto quella di ‘manovrare’ il presidente russo – nei confronti del quale si possono scrivere tante cose, ma non certo che egli sia un ‘utile idiota’ – contro i veri nemici del mondo occidentale, la Cina e l’Islam radicale, ribaltando in tal modo l’antico schema ‘triangolare’ di Henry Kissinger, il segretario di Stato americano dell’amministrazione Nixon, che nei primi anni ’70 del secolo scorso impostò l’idea di un’alleanza tra il mondo occidentale e la Cina maoista, al fine di isolare l’Unione sovietica e rinchiuderla all’interno del proprio ‘impero’, fino alla sua implosione.  Ebbene, secondo questi ‘simpatizzanti’ per Vladimir Putin, la nuova ‘chiave interpretativa’ dovrebbe oggi essere quella esattamente contraria: una Nato filorussa, che riesca a contenere l’espansionismo cinese e il terrorismo islamico.

Germani e Di Pasquale identificano le radici storiche di questo grande ‘amore mancato’ tra Italia e Russia nel mondo politico della sinistra italiana, soprattutto in quello socialista. In realtà, l’accordo di Racconigi del 1909, in cui Vittorio Emanuele III di Savoia e Nicola II di Russia firmarono un’alleanza tra Regno d’Italia e Impero zarista – nonostante il nostro Paese fosse alleato, in quella fase, con la Germania e l’Austria-Ungheria – proviene dagli ambienti liberali e ‘giolittiani’ di allora, che si apprestavano a sottrarre la Libia all’impero Ottomano ormai in disfacimento.

In pratica, stipulare un’asse di intesa con la Russia servì soprattutto a isolare la Turchia. Ricordiamo, inoltre, come andò a finire, pochi anni dopo, questa storia dell’Italia nella Triplice Alleanza con gli Imperi centrali, col Patto di Londra e tutto il resto. In effetti, il fatto che fossimo alleati con il nostro principale nemico, l’impero austriaco degli Asburgo-Lorena, rappresentava, in realtà, una nostra collocazione del tutto innaturale.

Sia come sia, nel 1917 la monarchia russa dei Romanov venne abbattuta dalla rivoluzione, trascinando il Paese nella guerra civile fino alla vittoria, nell’autunno di quello stesso anno, dei comunisti bolscevichi, guidati da Lenin. Da qui in avanti, Germani e Di Pasquale si perdono alla ricerca di tracce, piuttosto esigue, dei rapporti tra Mussolini e Stalin durante il ventennio fascista, giudicati “floridi” dai due studiosi. In realtà, dopo la vittoria dei comunisti, tutta la diplomazia occidentale fece a lungo finta che l’Unione sovietica neanche esistesse. E paradossalmente, il primo capo di Stato che decise di inviare un telegramma al dittatore sovietico, chiedendogli di ricevere il suo ministro degli Esteri, Joachim von Ribbentrop, per firmare il famoso ‘patto di non aggressione’, fu proprio Adolf Hitler. Ma andiamo avanti, che forse è meglio…

In seguito, nella prima Repubblica, la Democrazia cristiana, a seguito del nostro disastro nella seconda guerra mondiale, ricollocò l’Italia nella Nato e nella Comunità economica europea, ma Enrico Mattei, presidente dell’Agip e, in seguito, dell’Eni, cominciò a fare affari col blocco comunista, alla ricerca di petrolio a buon prezzo. Era un atteggiamento filo-russo che, tuttavia, non era ostile al mondo occidentale: solo il Pci ‘togliattiano’ si fece portatore di una ‘egemonia culturale’ basata sull’esaltazione del socialismo reale e su una critica molto accesa nei confronti dell’idea americana di sviluppo. La quale, in verità, con i suoi mercati interni basati su una ‘concorrenza imperfetta’, ha sempre presentato assai poche situazioni di squilibrio rispetto ai ‘pesanti’ e costosi regimi ‘misti’ dell’Europa occidentale, basati su giganteschi oligopoli tesi a monopolizzare i mercati.

In ogni caso, dopo il crollo del muro di Berlino del 1989, nelle destre più radicali e conservatrici si cominciò a pensare di sottrarre alle sinistre post comuniste, ormai orientate verso il riformismo laico e socialdemocratico, la loro avversione verso il capitalismo, la democrazia liberale e, soprattutto, l’integrazione europea, a sua volta strangolatrice delle culture nazionaliste. Una “svolta rossobruna”, così la definiscono Germani e Di Pasquale, da parte dei seguaci dell’idolatria statalista e antisistema, ancorata alla difesa dei valori cristiani tradizionali, alla lotta contro la globalizzazione, alla fobia immigrazionista, contro il femminismo, le teorie ‘gender’ e le lotte dei movimenti Lgbt.

Giunti a questo punto, il lavoro di Germani e Di Pasquale si fa interessante, poiché finalmente si fanno nomi e cognomi: innanzitutto, quello di Claudio Mutti, ex attivista di estrema destra, amabilmente formatosi sui sacri testi di Corneliu Codreanu, Julius Evola, Pierre Drieu La Rochelle e, ovviamente, anche Adolf Hitler. Proprio la piccola casa editrice fondata da Mutti, tra l’altro, fu la prima a pubblicare in Italia, nel 1991, una raccolta di saggi di Alexandr Dugin: un personaggio assai poco rassicurante, che vorrebbe tornare ai prelievi di sangue effettuati con le sanguisughe. Ancora più indietro, Dugin non si spinge. Probabilmente, perché si rischierebbe di tornare, per dirla con l’attuale presidente della Campania, Vincenzo De Luca, all’uomo di Neanderthal.

Altri personaggi che, nei primi anni ’90 del secolo scorso, hanno iniziato a rielaborare strampalate teorie antisistema (prim’ancora dell’avvento al potere di Putin, si noti bene…) sono gli ex dirigenti del Msi, Carlo Terraciano, Maurizio Murelli e l’esperto di geopolitica, Tiberio Graziani. I quali, nel 2004, anche a seguito dell’invasione americana dell’Iraq, fondarono la rivista di studi geopolitici ‘Eurasia’, con una linea editoriale totalmente “antimperialista” (che impressione leggere certe cose a destra, ndr), che non a caso, nel primo numero, aprì con un saggio di Dugin, il noto ‘progressista’ di cui sopra.

In seguito, questo nucleo di personaggi ‘borderline’ cominciò a infiltrarsi nella Lega. Specie dopo la guerra del Kosovo del 1999, in cui Umberto Bossi assunse una posizione ‘filoserba’, come se Slobodan Milosevic fosse solamente una vittima di interessi politici della Nato, la quale invece si ritrovò costretta a intervenire ‘controvoglia’ in un’area dell’Europa, i Balcani, a cui non era affatto interessata.

Già allora, al collegamento tra eurasianismo, Lega Nord e Dugin ci stava ‘lavorando’ il giornalista Gianluca Savoini. Le cui trame vennero tuttavia arrestate dall’accordo Bossi-Tremonti del 2001, che reinserì il ‘carroccio’ in un’alleanza ‘occidentalista’ e che, dopo gli attentati alle Torri Gemelle, costrinse il movimento politico di via Bellerio ad appoggiare l’intervento Usa in Afghanistan. Lo stesso Silvio Berlusconi, attraverso i rapporti personali che stabilì con Putin negli anni successivi, diede a sua volta una ‘sterzata filo-russa’ alla nostra politica estera, anche se di tipo moderato.

L’animosità delle destre italiane verso i nostri alleati tradizionali riemerge dopo che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy vennero indicati come i veri mandanti del ‘golpe antiberlusconiano’ del 2011. E crebbe ulteriormente durante le primavere arabe, per il contraccolpo di rifugiati che investì l’Italia. Infine, la reazione toccò il suo massimo con le politiche di austerity del 2011-12, imputate soprattutto alle rigidità tedesche e imposte a tutti dal Ppe, con il quale sia le destre italiane, sia la Lega, sono state a lungo alleate di governo.

Sulla base di tutto ciò, alla fine del 2013, a Torino, Matteo Salvini viene eletto segretario di una ‘nuova Lega’ ormai lanciata verso il nazionalismo sovranista, in un Congresso in cui, tra gli ospiti d’onore, figuravano anche Viktor Zubarev e Alexei Komov, rispettivamente deputato del Partito ‘putiniano’ denominato Russia Unita il primo; fiduciario dell’oligarca Konstantin Malofeev il secondo. Il ruolo di Savoini e della sua associazione culturale ‘Lombardia-Russia’ cresce sensibilmente, fino alle intercettazioni dell’Hotel Metropol di Mosca.

Nel frattempo, Vladimir Putin rispolvera l’apparato delle ‘misure attive’ di epoca sovietica, sostenendo una serie di iniziative editoriali, come il canale ‘Russia Today’, l’agenzia Sputnik e una serie di fondazioni e istituti. In questo clima, l’euroasianismo esce dalla marginalità per entrare nell’odiato dibattito ‘mainstream’. Tra i personaggi indicati come autori di libri e pubblicazioni ispirati a tali tematiche incontriamo: il marxista-conservatore, Diego Fusaro; il teorico del complotto dell’11 settembre, Giulietto Chiesa; il leader di CasaPound, Simone Di Stefano; l’ex seguace di Toni Negri, Giuseppe Zambon; l’ex direttore di Rai 2, Carlo Freccero: il docente di Storia del Caucaso, Aldo Ferrari; il reporter di guerra, Fausto Biloslavo; lo storico cattolico, Franco Cardini; il noto complottista conservatore, Maurizio Blondet; l’ex vicedirettore di ‘Famiglia Cristiana’, Fulvio Scaglione; il giornalista Sebastiano Caputo, il cui programma Rai, annunciato a inizio 2019, è stato bloccato dalle proteste della comunità ebraica per le sue posizioni ‘pro-Iran’ e ‘pro-Hezbollah’.

Ancora più importante è la rete di connessione risvegliata da Vladimir Putin in questi ultimi anni con ‘think tank’ e università. Ambienti che il leader russo è riuscito a utilizzare soprattutto in una ‘chiave’ anti-Ucraina. La Fondazione ‘Russkii Mir’, direttamente collegata al Cremlino, è riuscita addirittura ad aprire alcuni suoi dipartimenti di cultura russa nelle Università di Milano, Pisa e presso l’Orientale di Napoli, mentre l’Istituto di Stato di Mosca per le Relazioni internazionali vanta una ‘partnership’ con la Luiss, per gestire alcuni ‘Master ciuccia-soldi’ dei neolaureati figli della borghesia italiana, in collaborazione anche con Enel, ‘La Sapienza’ di Roma e l’Università di Urbino.

Da notare, infine, che tutti questi dipartimenti di docenti e cultori della Russia di Putin, legati alla ‘Luiss’ e a ‘La Sapienza’, presentano tutti quanti posizioni pesantemente ‘anti Kiev’, fino a teorizzare una futura spartizione dell’Ucraina. L’Università ‘La Sapienza’ di Roma, grazie proprio a Tiberio Graziani, ha inoltre stabilito una relazione di collaborazione con l’Istituto di Alti studi di Geopolitica e Scienze ausiliarie (Isag), che ha contatti con numerose entità russe e che risulta finanziato persino dal nostro ministero degli Affari Esteri. L’Isag ha organizzato vari eventi, in passato, per spiegare che Vladimir Putin viene sostanzialmente calunniato dai ‘russofobi’, insieme ad altre Conferenze sulla crisi ucraina, in cui sono stati invitati a parlare vari esperti italiani e russi, ma neanche un ucraino. Forse che un’Ucraina libera, indipendente ed europeista dia fastidio? A noi sinceri e leali europeisti, pare proprio di sì.

 

(2 aprile 2021)

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