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Alcune note al margine, ma non marginali, sullo Spielberg di “Ready Player One” #l’occhio di Alessandro Paesano

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di Alessandro Paesano #occhio twitter@ale_paesano #cinema

 

 

Parlo del film naturalmente, non del romanzo, che non ho letto.

Film diretto da Spielberg la cui sceneggiatura però è di Ernest Cline (autore del libro), Zak Penn ed Eric Eason.

Del libro so solamente che il protagonista adolescente è sovrappeso, mentre nel film di Spielberg diventa il classico belloccio magro.

 

L’attore Tye Sheridan che interpreta Wade che meno sovrappeso non potrebbe essere…

Non voglio entrare in merito alla trama che non fa che ingigantire fino alla parodia l’intertestualità del racconto per immagini capitalista (citare cioè altri prodotti di consumo visivi, innescando un gioco di riconoscimento che non si basa sulle capacità critiche del pubblico ma sulla mera esperienza di consumo) dove il Kubrick di Shining è affiancato a Il gigante di ferro con buona pace dei contesti culturali…

 

Non voglio nemmeno eccepire sulla società del futuro proposta dal film (che è ambientato nel 2045) è inesistente: la povertà degli stacks in cui vive il protagonista ricordano più le favelas brasiliane (riviste alla Mad Max) che la povertà vera e concreta del mondo contemporaneo (che affianca sempre slums ai grattacieli per persone ricche) per capire di cosa sto parlando leggetevi Saskia Sassen.

Se la fantascienza è davvero tale ci deve presentare una realtà futura diversa dalla nostra per guardare meglio al nostro presente e, nel confronto, temere per il futuro oppure avere speranza.

 

Ready Player One vuole riflettere sull’estraneamento delle persone dalla realtà ma invece di farlo nei termini concreti di persone immerse in una società vera e ramificata come quella contemporanea, dove il digitale ha invaso il mondo reale fuoriuscendo da una virtualità che non ha mai preso davvero piede, si fissa solamente sui giocatori e le giocatrici e sulla loro voglia di evadere la realtà nel virtuale perché poveri e povere.

Una visione parziale anche all’interno della stessa società evocata dal film (come se i visori i guanti o le tute speciali costino poco e siano alla porta delle persone povere…) e che ci mostra le persone vivere in container ma tutto prendono energia (necessaria a far funzionare le macchine senza che ci venga spiegato con quali soldi. Nel futuro energia gratis per tutti e tutte???? E la povertà allora dov’è?).

La realtà contemporanea è ben peggio di quella paventata nel film.

Nel mio ultimo viaggio a Parigi io e Arthur Dreyfus abbiamo visto in un bar una famiglia seduta allo stesso tavolo in totale assenza continua di comunicazione tutte e tutti (mamma, papà, figlio e figlia) totalmente in simbiosi col proprio smartphone.

Non si evade più nel mondo virtuale (un’idea anni 90) è la virtualità che ci isola nel mondo reale in microbolle di attenzione azzerata dove la monade è l’interfaccia dei nostri cellulari.

Insomma una confusione e una approssimazione da Hollywood. Ripeto ignoro il romanzo e, francamente, va bene così.

Una Hollywood in mano ai e alle nerd cresciuti e cresciute negli anni 80  (cui il film pretende, senza esserlo davvero, un omaggio) in assenza di cultura e di prospettive storiche.

Ce ne sono dunque di orrori da dire e ridire su questo film.

Ma quello che mi ha fatto …mettere mano alla pistola è il disgustoso, strisciante, pericoloso e venefico sessismo e maschi(li)smo del film.

Attenzione SPOILER, se non avete visto il film e volete vederlo sappiate che vi svelo parti di trama…

 

  • il migliore amico virtuale (conosce solo l’avatar ma non la persona del mondo reale) del protagonista Wade Owen Watts che in Oasis (il mondo virtuale) si chiama Parzival, è Aech il cui avatar è grande e grosso e dal vocione (Parzival ha scelto una versione abbellita del sé reale).
    Durante una sortita nel mondo di Shining (sì, il film di Kubrick)  Aech, del quale ignoriamo l’identità, ha paura dei film di paura (e già catalogare Shining come un film di paura… ma tralasciamo). La gag di tutta la sequenza (che ha fatto ridere non poco il pubblico adolescente corso a vedere la versione in inglese coi sottotitoli del film, come dire un pubblico di elite infatti la sala 1 del cinema Barberini, alla prima proiezione pomeridiana, era semivuota)  era vedere questo avatar grande e grosso farsela sotto (metaforicamente) perché ha paura dei film di paura.

    L’attrice Lena Waithe che interpreta Helen il cui lesbismo, non detto nel film, dovrebbe (?) essere deducibile dall’aspetto…

    Critica al machismo?
    Anche ai ragazzi è consentito avere paura?
    Neanche per niente!
    Si scopre che dietro l’avatar di Aech si cela una ragazza (molto molto poco femminile ma ragazza) Helen Harris che , nel romanzo, è lesbica, nel film non viene detto, lo si dovrebbe capire dato il suo aspetto poco classicamente femminile.
    Quindi una ragazza che non veste femmina è necessariamente una lesbica. Morale: una donna non si può vestire come le pare…
    Tutto torna dunque.
    Puoi millantare identità che non ti appartengono ma la tua identità sessuale (di nascita) ti tradisce.
    E, comunque, conferma, anche nel 2045, il peggiore dei cliché che vuole le ragazze fifone anche se lesbiche.

    Inutile dire che le lesbiche né in Oasis né nel mondo reale hanno storie d’amore ma restano sole… come ogni classico personaggio omosessuale.

    Insomma per Spielberg (e gli sceneggiatori del film) la fifa è legittima solo se a provarla sono le femmine (lesbiche) .

 

  • Artemis, una Gunter (cacciatrice di easter egg, cioè una tosta) e blogger famosissima, si rivela essere una ragazza che ha una vistosa voglia sul volto che però non impedisce a Wade di amarla. Una scena anche tenera, quando lui, nel mondo reale, le carezza il viso, se non fosse però che tutta l’autorevolezza e la conoscenza che lei ha di Oasis e che Wade sembra non avere passa da questo momento in secondo piano.
    Quando tra i due nasce una tresca lei da co protagonista diventa la classica “grande donna dietro il grande uomo”. Wade che fino a quel momento era stato salvato più volte da Artemis, una volta messa in atto la potenzialità etero di stare con una donna agisce da solo e lei si sdilinquisce a vederlo così bravo leader. 
    DA VOMITARE.

 

  • La goliardia patriarcale (e sessista).
    Ci sono queste tute sensoriali che, indossate, per chi se le può permettere, ti fanno provare sensazioni tattili su tutto il corpo.
    Così se ti strusciano il pacco, come fa Artemis con Wade, prima del disvelamento delle persone in carne ed ossa, durante un ballo in aria, quello visto già in La La Land per intenderci ti senti sfiorare davvero anche nel tuo corpo reale. E Wade, sopraffatto da quella senza azione tattile proprio lì, si imbarazza tutto… Lo stesso, se ricevi un calcio sulle palle, la tuta ti fa sentire il dolore come fosse un calcio vero ed è quello che succede al cattivo (e il pubblico in sala ride divertito).

    Insomma centralità fallica sia in senso ludico che se(n)(s)suale.

    Anche qui insomma niente di nuovo.

 

  • La Chiave.
    Quando Parzival trova tutte e tre le chiavi deve infilarle in tre serrature che lo porteranno a ereditare la proprietà di Oasis (e un sacco di soldi).
    Però, visto che nel mondo reale Wade sta dentro il camion di Helen, inseguito da una cattivo a che continua aurtarlo il vade reale cade e quello virtuale non riesce a infilare la chiave. La scena, vista in diretta da tutta oasis (ma nel mondo reale perché nel mondo virtuale Parzival è rimasto da solo) è un’allusione così diretta al coito (eterosessuale) che fa ridere, se non ci fosse da piangere.
    Il film che si rivolge a un pubblico di adolescenti, maschi ed etero, testimonia dell’iniziazione fallica del giovane maschio che infila tre chiavi. Evince (sostenuto dall’entusiasmo dell’universo mondo). Artemis guarda ma non si sente chiamata in causa (d’altronde lei di …toppa per la chiave ne ha solamente una…) e dismesso il suo ruolo di tosta ora che è fidanzata, si dedica al pomicio con Wade.

    L’immaginario collettivo che il film vivifica è quello disgustosamente maschilista e sessista nel quale quel che ripaga la vita di una donna è una storia di amore (il privato) e non l’affermazione professionale politica o sociale nel mondo (il publico).

    La donna sta a casa proprio come la gemella sensitiva di Minority Report che, una volta liberata dal sistema di sfruttamento poliziesco, vive isolata, ritirata a vita privata, in uno chalet di campagna, coi fratelli sensitivi (e dunque strani) come lei.

Il messaggio è  chiaro.

“Caro pubblico relegati pure senza nel virtuale del disimpegno senza tema di ripercussioni”.
Ogni tanto vai nel mondo reale non per partecipare della cosa pubblica, ma per pomiciare e lascia la cosa pubblica al potere vero che è quello tanto magnanimo e generoso da regalarti film come questi…

Spielberg e accoliti, il regista più fascista e disgustosamente reazionario dell’America contemporanea.

 





(29 marzo 2018)

©gaiaitalia.com 2018 – diritti riservati, riproduzione vietata

 




 

 

 

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