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HomeGiustappunto!"Giustappunto!", di Vittorio Lussana: Eppure si possono prevedere

“Giustappunto!”, di Vittorio Lussana: Eppure si possono prevedere

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vittorio-lussana-02di Vittorio Lussana  twitter@vittoriolussana

 

 

 

 

 

 

 

 

In questi ultimi anni, si è spesso parlato della possibilità di poter prevedere i terremoti. In molti si ‘sbracciano’ nel negare tale eventualità, mentre invece esisterebbero degli studi importanti in materia, relativi all’utilizzo del gas ‘radon’ sia sotto l’aspetto della sicurezza antropica (geologico – ambientale), sia come elemento correlabile con gli eventi sismici e le ricerche minerarie. Si tratta di un’argomentazione sorta dopo un importante ‘scoop’ giornalistico del sito ‘Laici.it’ ai tempi dei drammatici eventi di L’Aquila nel 2009, testata la quale presentò un ben argomentato parere del professor Luigi Ardanese, geologo dell’ex Servizio geologico nazionale ed ex docente di geochimica presso l’Università di Urbino. L’idea nasceva dal fatto che molte rocce terrestri superficiali conterrebbero percentuali variabili di minerali radioattivi quali l’uranio, il torio e il potassio, i quali indicano la radioattività terrestre. L’uranio e il torio sono emettitori spontanei di nuclidi e, allo stesso tempo, sono i ‘progenitori’ del radon. Molti gas, compreso il radon, a causa della liberazione dell’energia interna tendono a sfuggire dalla Terra: l’idrogeno e l’elio sfuggono rapidamente e aiutano il radon sia alla rimozione dal suo punto di origine, sia nel suo trasporto in superficie. Nelle rocce e nei suoli, le variazioni dei flussi di specie gassose registrate consentirebbero, dunque, di ipotizzare dei meccanismi di trasporto legati alla migrazione in superficie di fluidi profondi decine di chilometri. Un processo che avviene principalmente lungo le fratture (faglie) del nostro territorio. La fratturazione delle rocce ‘incassanti’ facilita il trasporto del radon dal suo punto di origine, per svariati metri. Le rilevazioni di concentrazione del radon in ambienti geologici evidenzierebbero, insomma, le cosiddette aree ‘anomale’ sulle quali si potrebbe indagare dettagliatamente con sistemi strumentali semplici e/o complessi, utili a distinte finalità.

Le conoscenze sperimentali di quest’ultimo trentennio ci permettono di relazionare le abbondanze (concentrazioni) di gas radon tramite: a) le fenomenologie legate alla dilatazione e compressione dei corpi geologici (micro e macrofratture) in aree tettoniche; b) le ricerche minerarie in generale; c) le fenomenologie vulcaniche e tettoniche (meccanismi di risalita magmatica e interazioni con le rocce incassanti, attività vulcanica quali eruzioni esplosive, cambiamenti di attività, idrotermalismo, sorgenti geotermiche etc. etc.); d) i sistemi idrogeologici; e) l’inquinamento nel suolo e in atmosfera.

Le molteplici applicazioni rendono pertanto il radon un buon indicatore ambientale, o ‘segnalatore’ di allineamenti strutturali, o tracciante di movimenti di acqua nel sottosuolo (correnti ascendenti e discendenti), come precursore di movimenti strutturali (più difficile) e come segnalatore di particolari giacimenti, oltreché come inquinante molto pericoloso. In ogni caso, quel che appare interessante è che il radon sia l’unico gas radioattivo presente in natura che ‘decade’ rapidamente, tramite emissioni di particelle ‘alfa’ in polonio e bismuto, pure radioattivi, sino a giungere allo stato di piombo stabile. Il radon totale è costituito da tre isotopi radiattivi: il Rn 222, Rn 220 e il Rn 219. In particolare, il Rn 222 è legato a movimenti profondi, mentre il Rn 220 è legato al suolo e alle variazioni stagionali. Si è poi osservato, sia nelle aree sismo-tettoniche, sia in quelle vulcano-tettoniche, che la fratturazione delle rocce e la risalita dei magmi facilitano significativamente il trasporto di radon. In pratica, variazioni di concentrazioni di radon, unitamente a quelle di elio (He), fornirebbero utili indicazioni circa la previsione di terremoti ed eruzioni vulcaniche. E’ infatti risaputo che il terreno è in movimento continuo, indipendentemente dalla località. E queste vibrazioni sono esattamente simili alle onde sonore. Pertanto, vari siti di campionamento, collocati sul territorio, potrebbero esser scelti preventivamente all’interno delle unità geologiche e strutturali di effettivo interesse, al fine di rendere i dati delle ‘concentrazioni’ rilevate riproducibili e correlabili per poter ipotizzare scenari legati a meccanismi tettonici di compressione o dilatazione. Inoltre, la misurazione della concentrazione di radon ‘totale’ è basata sulla determinazione delle particelle ‘alfa’ liberate durante la produzione (a causa del decadimento radioattivo degli isotopi genitori) e sulle particelle ‘alfa’ derivanti dal proprio decadimento per la crescita dei propri ‘figli’. In ogni caso, i sistemi di misura del gas radon sono di tipo ‘integrati’ e ‘non integrati’, a secondo del tempo: i primi impiegano molti giorni per la misurazione; i secondi, invece, pochi minuti (emanomeri). La scelta del sistema è finalizzata a varie esigenze: per i tempi molto brevi, la misura di concentrazione può non essere rappresentativa del luogo, in virtù del fatto che i valori atmosferici possono cambiare rapidamente o, meglio, le misure che si effettuano sui suoli (anche dello stesso tipo) variano enormemente da punto a punto; viceversa, si possono utilizzare ‘tempi lunghi’ di misurazione allorquando si intende indagare su una vasta località, purché si tengano in debita considerazione tutte quelle variazioni dipendenti dal tempo. I dati ricavati sull’intera area, successivamente possono essere trattati ‘statisticamente’, per eliminare le variazioni casuali. In effetti, il metodo ‘attivo’ è basato su misure di concentrazione ricavate dall’utilizzo di strumenti portatili, mentre la tecnica sull’utilizzo di rilevatori ‘passivi’ di tracce allo stato solido è basata su strumenti in cui il gas entra per diffusione naturale nel sistema di rilevazione ed è contrapposto a quello attivo, perché in questo caso il campionamento è ‘forzato’, ovvero si ha bisogno dell’ausilio di pompe per introdurre il gas nello strumento. Il fluido (contenente Rn) viene estratto dal sito di campionamento e inserito rapidamente nello spettrometro per il conteggio degli impulsi (disintegrazione radioattiva). Questo strumento è meglio conosciuto come ‘emanometro’ ed è equipaggiato da una sonda di campionamento, da una pompa a vuoto, da una cella a scintilla (attivata da solfato di zinco o argento) e da un sistema di conteggio (fotomoltiplicatore). Il metodo dei rilevatori ‘passivi’ su vaste aree consente, mediante le tracce lasciate dal radon su pellicole tipo quelle della Kodak di un tempo, di risalire ai valori di emissione. Sono state già adottate, in passato, tecniche di misura ‘passive integrate’ per circa due settimane, le quali sono risultate sufficientemente sensibili per piccole variazioni a basse concentrazioni. Saltuariamente, sono state inoltre effettuate misure di radon con sistemi non integrati ‘attivi’ con l’emanometro, per eventuali controlli di differenze di flusso. L’elaborazione dei dati analitici in varie località italiane ha confermato sperimentalmente le ipotesi sul radon come ‘segnale precursore’ degli eventi tettonici. Insomma, in un certo senso è vero che non esiste un modello deterministico, in grado di prevedere calamità naturali come quelle avvenute nel centro Italia: per individuare un ‘precursore’ servono anni di accertamenti, da effettuare su un’area campione molto estesa, geologicamente e strutturalmente nota. Occorre poi installare, su di essa, numerosi rilevatori di radon, sia nel suolo, sia in rocce fratturate, effettuando una dettagliata prospezione da monitorare. Che è ciò che tentò di fare, a suo tempo, il ricercatore Giampiero Giuliani in merito al possibile sisma abruzzese: ovvero, un tentativo di rilevazione di una certa quantità di radon in eccesso (energia liberata) in un’area predeterminata. Ciò, indubbiamente, suscitò allarme. E le notizie in seguito fornite dagli organi di informazione ‘ufficiali’ hanno giustificato il proprio scetticismo in base al fatto che, per ogni previsione attendibile e riproducibile di un evento tellurico servirebbe, a priori, un’indagine geologico-strutturale assai dettagliata su aree di almeno 100-150 chilometri quadrati. Ciò non toglie che nuove ricerche sperimentali potrebbero essere adeguatamente finanziate, anziché continuare a considerarle irrilevanti. Anche perché l’installazione di una stazione completa per la rilevazione continua di gas radon, tutto sommato, è assai poco onerosa.

 

 

 

 

(28 ottobre 2016)

 

 

 

 

 

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