di Il Capo
Prima di far partire gli insulti, voi che siete tanto bravi a manifestare solidarietà con una foto e due post, abbiate la gentilezza di leggere l’articolo senza fermarvi solo al titolo. Lo scriviamo usando il voi, per parlare a tutti noi. E a noi per primi. A Orlando un americano di origini afghane mentalmente disturbato, violento al limite della patologia, ha ammazzato 50 persone e ne ha ferite 53 in un locale gay di Orlando. La loro colpa? Non avere nessuna colpa. Erano gay e lesbiche che stavano dove l’assassino poteva trovarli per ammazzarli, adempiendo in questo modo a quello che riteneva essere il suo dovere nei confronti di Al Baghdadi, califfo nero dell’Isis, al quale aveva giurato fedeltà, come aveva detto poco prima della strage chiamando il 911. Che colpa avevano i clienti del Bataclan che sono stati ammazzati mentre assistevano a un concerto? Nessuna colpa. Stavano dove gli assassini sono andati per ammazzarli. Che colpa hanno i bambini siriani ammazzati dalle bombe “amiche”? Nessuna: stanno dove le bombe esplodono e li ammazzano. La nostra civiltà ha trovato un disgustoso eufemismo per questo: “Effetti collaterali”. Loro, gli altri, della stessa pasta della violenza della quale è fatto l’uomo, lo chiamano “Guerra agli Infedeli”: che bisogna ammazzare. L’oscurità che devasta i sensi è sempre la stessa.
La comunità LGBT italiana piange le vittime di quello che chiama “il nostro 11 settembre”, come se ci fosse differenza tra i morti di Orlando, quelli delle Torri Gemelle, gli ammazzati nel Bataclan, i bambini massacrati in Siria, i morti per omofobia, odio razziale, violenza di genere, in un mondo che vive a compartimenti stagni dentro profili virtuali che scambia per la vita reale, dove tutto ciò che riguarda noi è una tragedia e ciò che riguarda gli altri lo è molto meno. Perché “il nostro”?
Come se ci fosse differenza, dal punto di vista dell’odio che muove le azioni sconsiderate dei troppi fanatici che si vogliono impossessare del mondo, tra Orlando e le donne sgozzate da Boko Haram in Nigeria l’11 giugno scorso. O come se l’odio e la violenza che gli holligans russi e britannici hanno scatenato, massacrandosi e mettendo a soqquadro Marsiglia, non siano figli della stessa intolleranza, della stessa violenza, dello stesso orrore.
Abbiamo avuto, da queste pagine, molto spesso, parole di critica per una comunità LGBT troppo chiusa nei suoi dolori, nelle sue vicende, nei suoi lutti. Raramente, secondo noi, l’associazionismo LGBT gestito da troppi dilettanti pieni solo del loro nulla, ha ignorato o condannato tiepidamente eventi che non riguardavano la comunità LGBT, ma che avrebbero avuto bisogno di parole ferme, dure, definitive. Qualcosa è cambiato negli ultimi mesi, ma è molto tardi. Solo Aurelio Mancuso con la sua Equality, tra gli attivisti o ex attivisti LGBT, ha anticipato i tempi dicendo la sua, sempre, sulle violenze senza senso che stiamo vivendo. Nel caso di Orlando, per la prima volta, leggiamo sui quotidiani italiani un articolo che parla di vittime gay della follia omicida con rispetto, anche se la prima versione dell’articolo, poi rimaneggiato, che Repubblica riportava nella versione online, ripeteva la tristemente obsoleta definizione di “omosex” almeno quattro volte: Poi se ne sono accorti, dell’orrore che avevano scritto, perché quello è il punto: accorgersi dell’orrore. Il carico di violenza subito dalle comunità LGBT può essere di grande utilità nella costruzione di un mondo che alla violenza dice definitivamente no. Si dovrebbe pensare prima a quello e dopo alle definizioni.
Sappiamo di scrivere cose impopolari, ma ci assumeremo il rischio: quella violenza, quella violenza che porta ad uccidere decine e decine di persone in nome di un’ideologia o del verbo di un libro probabilmente mai letto (molti dei terroristi che si proclamano filo-Isis e dicono di agire in nome dell’Islam, non parlano nemmeno l’arabo e non sono in grado di leggere il loro libro sacro) è la stessa violenza inspiegabile, della quale evidentemente nemmeno ci rendiamo conto, con la quale noi cerchiamo di zittire chi non la pensa come noi; la stessa violenza che anima i nostri post furiosi atti a screditare chi non ci piace; è la stessa violenza che ci fa scrivere “spero che crepi brutto bastardo”; è la stessa violenza machista che uccide le donne; la madre che ammazza il figlio esercita una violenza niente affatto differente. Noi ci svegliamo o restiamo assopiti sulla base della reazione emotiva che questa violenza assassina ci provoca. Quando, cioè, la sentiamo più o meno vicina. Quando sentiamo la morte altrui pericolosamente vicina al nostro essere vivi. Ragioniamo emotivamente in un mondo che abbiamo costruito in modo che l’emotività conti più del ragionamento, (perché è l’emotività che ti porta a fare click sui social, nuovi signori e padroni della comunicazione globale); un mondo così non può che avviarsi verso una sempre maggiore, e sempre più inspiegabile, violenza. Siamo noi tutti a dovere cambiare modo di pensare, agire, reagire. Occorre una profonda riforma dell’essere umano che ognuno di noi può fare, ma solo a livello personale e rifiutando profondamente ogni tipo di violenza.
(13 giugno 2016)
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