di Paolo M. Minciotti
Sabato scorso duecento persone hanno sfilato a Entebbe in un Gay Pride organizzato per festeggiare la dichiarata incostituzionalità della legge che criminalizzava l’omosessualità e prevedeva per le persone omosessuali il carcere a vita. Approvata nonostante mancasse il numero legale alla Camera, la legge era poi stata dichiarata incostituzionale dall’Alta Corte ugandese circa un anno fa.
La legge era stata giudicata “abominevole” dalla stragrande maggioranza delle associazioni per la difesa dei diritti dell’Uomo, ma piaceva molto alla stragrande maggioranza degli ugandesi. Nonostante l’odio sociale ed il pericolo di essere attaccati con violenza, duecento manifestanti hanno scelto al via della visibilità a Entebbe, ad una quarantina di chilometri dalla capitale Kampala, sventolando bandiere, ombrelli e cravatte con i colori della bandiera rainbow, simbolo dell’orgoglio lgbt in tutto il mondo.
Tra le tante dichiarazioni raccolte sul posto, una ci è sembrata straordinaria. Niente affatto casualmente appartiene ad una donna di 32 anni, lesbica e madre, che ha affermato: “Avevo anche pensato di andarmene, ma se ce ne andiamo tutti chi rimane a lottare per la giustizia?”.
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