di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Il fondamentalismo islamico sta avendo un certo successo in larga parte del Medio Oriente poiché riesce a coinvolgere, nella sua degenerazione bellicista, molti giovani rispetto a una cultura politica ‘moderata’ la quale, per lunghi decenni, si è limitata a considerare i cittadini come semplici ‘spettatori’. Sin dai tempi della rivoluzione iraniana del 1979, molte popolazioni arabe hanno trovato nel fanatismo religioso lo strumento per manifestare la loro condizione. E quei Paesi che a lungo si erano addirittura dichiarati ‘laici’, come per esempio l’Egitto di Nasser e, in seguito, di Sadat, in realtà erano regimi di democrazia autoritaria o paternalista, privi di Partiti autentici, capaci di incanalare al proprio interno opinioni e dibattiti, anche di natura religiosa. Persino la stampa, nel mondo arabo-moderato, non ha mai più di tanto fornito canali di ‘sfogo’ finalizzati a far esprimere voci di dissenso. E la moschea ha finito col trasformarsi nell’unico vero luogo di discussione e di confronto. Dunque, ciò a cui stiamo assistendo nel mondo islamico e in quello ‘maghrebino’ non discende da una popolazione che, all’improvviso, è impazzita e ha deciso di tornare a un’interpretazione medievalista del Corano, bensì deriva dal fatto che i regimi del passato – e non solo del passato… – erano sostanzialmente delle dittature camuffate, che per lunghi decenni hanno trattato le popolazioni con sufficienza e mezze verità. Le risposte politiche di assistenza concreta nei confronti dei cittadini hanno cominciato a essere fornite dalle forze più estremiste, quali i Fratelli musulmani, Hamas ed Hezbollah. In fondo, anche nella Storia occidentale, le democrazie liberali hanno commesso, in passato, errori simili: il fascismo, in Italia, ha potuto godere a lungo di un consenso incontestabile poiché seppe fornire, a suo modo, risposte concrete e servizi sociali piuttosto efficienti, almeno per quei tempi. Da ciò si può dedurre come la dinamica di diffusione del fondamentalismo integralista sia sostanzialmente paragonabile a quella che si ebbe, negli anni ’30 del secolo scorso, con il fascismo e il nazismo in Europa, o con il ‘maccartismo’ negli Stati Uniti. E’ la debolezza delle democrazie a favorire simili fenomeni, soprattutto quando essa viene interpretata in forme contraddittorie, ipocrite, corrotte e antisociali. Quando le istituzioni e la politica non riescono a trasmettere una prospettiva, o a fornire servizi fondamentali, si crea un ‘vuoto’ che viene subito riempito dai movimenti di protesta radicale: punto, fine del discorso. E tutti quei Paesi, in particolar modo gli Stati Uniti, che stanno chiedendo all’Islam cosiddetto ‘moderato’ di aiutare il mondo occidentale a sconfiggere culturalmente il fanatismo ‘jihadista’ non hanno ancora compreso l’errore gravissimo di dare un ruolo politico e un peso specifico a delle élite le quali, con il loro modo deludente di governare, non fanno altro che dar fiato a forme di religiosità rigide e puritane, che si trasformano in veri e propri estremismi ideologici. Sono state proprio le élite musulmane cosiddette laiche e ‘moderate’ a non comprendere i pericoli che si stavano correndo e a covare a lungo, al proprio interno, il fondamentalismo religioso. Che in verità rappresenta solamente una forma di religiosità popolare: è come se, qui da noi, all’improvviso si formassero intere schiere di cattolici integristi e rivoluzionari, adoratori di santi e martiri, che contestassero al Vaticano un’interpretazione troppo intellettualoide e ‘libresca’, da convegno ‘bocconiano’, del Vangelo. Se l’Arabia Saudita e lo stesso regime di Assad in Siria possono essere considerati “moderati”, allora possiamo anche cominciare a riconsiderare il razionalismo laico di Padre Pio e il sentimentalismo marxista di Papa Bergoglio.
(20 marzo 2015)
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