Il giovane Simone si è tolto la vita in un luogo preciso, scelto forse non a caso, forse proprio in quei dintorni qualcuno è stato responsabile in qualche modo del suo gesto, forse no, di fatto la sua scelta, da rispettare e non da commentare, è stata di morire dove è morto.
Ciò che non è da rispettare, ed è invece da commentare, è l’ennesimo autogol di certo associazionismo LGTB che ha scelto di utilizzare la disgrazia per incontrare la città nella Gay Street, in una parata da varietà dove sappiamo ci saranno alcune presunte autorità, addirittura forse un sottosegretario, son già tutto un fremito, il solito leaderismo LGTB, persone che saranno lì con la morte nel cuore chiedendosi perché lì e non là ed altre che invece hanno detto o scritto chiaro come la pensano, e ci saranno per dire o scrivere ciò che pensano del defilé cui assisteranno.
Intanto una domanda, i locali che si affacciano sulla Gay Street saranno chiusi? E se no, perché? Non è un momento di lutto? Allora si viva questo lutto, fino in fondo, dato che il giovane suicida era “un membro della comunità”, i locali possono sempre aprire dopo che la commemorazione avrà avuto termine.
La tentazione di pensare che si tratti di una mera manifestazione di visibilità (stamattina qualcuno tra gli “introdotti” ci diceva contrito che non si potrà proprio mancare, dato “ci sarà anche un sottosegretario e il Comune di Roma ha esposto la bandiera rainbow”), ragioni di profonda umanità, come vedete.
Un’altra manifestazione per fare del male all’associazionismo LGTB: sempre più diviso, sempre più inutile, sempre più incapace. Bene bravi bis.
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