di Bo Summer’s twitter@fabiogalli61
Eccolo qui. Un colpo al cuore: François Sagat è veramente così terribile, scavezzacollo e canagliesco come la pornografia ce lo descrive? Una full-immersion in tutto ciò che della nostra umanità possiamo salvare: Arthur Rimbaud.
Era forse dolcissimo, un pezzo di pane, Arthur, con coloro che amava. Poi, amava veramente qualcuno? Un autentico stronzo con tutti gli altri. Passatemi la licenza poetica. Non sapeva stare al suo posto, tenere a freno la lingua.
Non ha uno straccio di moralità, François. Canzona gli affetti.
Era un vagabondo, il Poeta, adorava rotolarsi nel sudiciume, alcol, droghe, orge non ne parliamo. Il disastro era il suo elemento, il disordine la sua prima necessità… e via, e via, a vent’anni aveva già macinato tante esperienze estreme quante noi mortali non possiamo neanche immaginarne. A vent’anni era già vecchio, spompato, aveva già consumato tutta la sua vita. A vent’anni aveva già smesso di far poesia.
Ed è questa stessa eccezionale, estrema, eccessiva forza vitale, portata fino all’estrema illusione, che si ritrova nella sua poesia.
Per il pornoattore l’abisso che contempla non è fine a se stesso: e per fare poesia da un abisso tale, nell’abisso stesso si precipita. E scopre i versi del lusso del Poeta.
Sagat/Rimbaud/Mogutin: questa lettura da Una stagione all’inferno ci scaraventa volontariamente in una vita di eccessi perché pensa che solo nell’eccesso ci si possa conoscere e, una volta conosciutisi, essere poeti o pornoattori.
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