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“La sacra famiglia” di Ruben Montini: una mostra, una performance e un’illuminazione

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di Samuele Vegna

Ieri ero a Torino, alla fine, non l’ho rivelato a nessunə, anche per motivi di sicurezza, ma ora vi racconto perché: una mostra artistica, una perfomance, e un’illuminazione sulla via di Damasco.

Sono tre i luoghi dove è esposta l’arte che vi racconterò oggi, o per lo meno, dove l’ho potuta osservare io finora, perché altrove, viene molto più valorizzata e apprezzata e conosciuta dal pubblico che dovrebbe assolutamente andare a osservarla, magari per ridere, ma soprattutto, per togliersi antiche lacrime di dolore che poi tanto antiche non sono e non saranno forse mai.

Sono troppo poche le realtà che permettono questa libera espressione, questo racconto della mia, della tua, e della nostra sofferenza.

Il primo luogo dove Ruben Montini mi ha creato una rivelazione, un’illuminazione sulla mia ignoranza a proposito, è il salone che c’è all’interno del suo studio torinese con le vetrate triangolari che illuminano completamente uno spazio bianco ma che si riempie di colori e di emozioni: un cucito e un taglio che prendono forma quasi da Maria Lai, ma vanno oltre, trasformano i tessuti, tagliati e ritagliati, gli indumenti, regalati all’artista per un motivo… Come nel caso dell’opera inglese, in storie, e quasi in persone reali alle quali manca il respiro. Il respiro, sono le storie scritte su queste opere, il respiro è scritto nell’odio per il diverso, per il queer, per l’arcobaleno, ed è raccontato da ogni opera, scritto ma anche percepibile da me che sono queer e non solo, gli indumenti tagliati a pezzi per farne opere d’arte sono stati regalati a Ruben perché ognuno di essi era di una persona insultata per il suo orientamento sessuale, e arrivano da tutto il mondo: entrate in una galleria del dolore e ne uscite sicuramente più consapevoli.

Ruben, famoso a livello internazionale, chissà perché in Italia non è conosciuto come dovrebbe, soprattutto da noi, ma anche, per dire, è stato osteggiato spesso dalle istituzioni: due anni di bugie da parte di tre istituzioni culturali per essere ospitato a interpretare la sua performance, che si chiama “La sacra famiglia”.

Quindi, dopo l’ostracismo, ha deciso di fare da sé, nel suo studio, nella sala più importante e più sacra, se voi volete, di un artista.

Sono seduto a tavola con gli altri commensali: il ritratto di una famiglia tradizionale: i genitori, la figlia che allatta suo figlio e il marito che la affianca.
Di questa famiglia io sono il figlio e fratello, zio e cognato.
Consumiamo il pranzo domenicale, tanto caro alla tradizione italiana.
Divento oggetto di scherno e bersaglio di insulti omotransfobici da parte degli altri famigliari.
Il momento conviviale tra i membri della famiglia diventa il luogo del martirio.

La corona di spine, che fa sanguinare l’artista, con il peso di ogni specchio con su scritto un insulto. Lo specchio, che rappresenta non l’insulto, ma riflette chi sta insultando, che non si rivede più in quella persona con cui condivide il sangue, e che fa sanguinare dal peso delle parole.

La famiglia è dunque una maledizione, il sangue che spesso ti tradisce, ti dissacra, ti spegne la vita, e questo fa pensare a quante famiglie ripudiano figlie e figli per il loro orientamento sessuale, o per la loro visione della vita. E fa pensare a quanto manchi in questa nostra Italia, che si fa chiamare democrazia, ma che del mondo occidentale ne è la periferia, un’assistenza seria per questə orfanə.

Ogni giorno, io ci penso. Ora con più determinazione.

Ma c’è speranza. C’è ancora tempo per realizzare qualcosa di serio e unitario, questa è una speranza che coltivo. E Ruben, con la sua arte, in qualche modo ce la dà, o comunque penso che ce la darà. In alto il video che ho girato alla mostra.

L’ultimo luogo, non per importanza però, è il bagno del nostro artista. Lo voglio citare perché anche li c’è un’arte che fa riflettere. C’è una frase in particolare che voglio sottolineare “Quella notte tutto e poi dopo niente”. Mi fa pensare, soprattutto alle app di dating, alla tossicità del modo in cui viviamo le relazioni, gli amori, i rapporti sessuali.

Questa frase è una domanda che lascio a voi.

 

 

 

(3 novembre 2025)

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