Mentre il popolo iraniano chiede la fine del regime islamico, i Mojahedin del Popolo (MEK) hanno organizzato ancora una volta un evento propagandistico a Roma. Guidata da Maryam Rajavi, questa setta ha ospitato ex politici europei e italiani ormai marginali, e anche qualche esponente in carica del Parlamento europeo e italiano, nel tentativo di darsi una patina di legittimità. Si è parlato di libertà e democrazia: concetti svuotati di significato all’interno di un’organizzazione corrotta, chiusa e autoritaria.
Il MEK è noto per la collaborazione con Saddam Hussein durante la guerra Iran-Iraq, gli attentati e le violenze armate contro il popolo iraniano, le purghe interne e la repressione dei dissidenti. Rapporti indipendenti raccontano di separazioni forzate tra genitori e figli, aborti imposti, matrimoni ideologici, sterilizzazioni obbligatorie e repressione del dissenso interno. Fino al 2009 il MEK era nella lista delle organizzazioni terroristiche di USA e UE, da cui è stato rimosso solo in seguito a pressioni politiche e corruzione: un dettaglio sistematicamente ignorato nei loro eventi.
Il cosiddetto “programma in dieci punti” è pura propaganda. Laicità, libertà di espressione e diritti delle donne non esistono nei campi chiusi del MEK, in Albania e precedentemente in Iraq, da cui è quasi impossibile uscire senza gravi conseguenze. Il dissenso interno è represso, i contatti con l’esterno vietati.
Il MEK non ha mai rinnegato il proprio passato violento. Anzi, lo rivendica apertamente. Ancora oggi evoca la “lotta armata” e sogna un ritorno con le armi in Iran. Eppure, nella memoria collettiva iraniana, i Mojahedin evocano paura e rigetto. Anche nei momenti peggiori della repressione, il popolo non li ha mai considerati un’opzione credibile.
Il vero obiettivo del MEK oggi sembra essere sabotare e screditare l’unica alternativa popolare e realmente inclusiva che ha un ampio seguito nella società iraniana e presenta un piano politico concreto e attuale: il Principe Reza Pahlavi.
Sorprende infine il loro sostegno alla causa palestinese: un’organizzazione che si autodefinisce laica e liberal-democratica, ma che continua a ricorrere a una retorica islamista e rivoluzionaria per legittimarsi.
Il convegno di Roma non è stato altro che una vetrina grottesca per una setta decadente, retriva e moribonda, che cerca disperatamente di nascondere il proprio passato sanguinoso dietro a slogan logori.
Così la nota a firma Associazione Italo-Persiana, Associazione Diar, Comunità Iraniana di Parma, Associazione luce dell’Iran, Associazione Donna Vita Liberta (DVL).
(5 agosto 2025)
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