di Giancarlo Grassi
Sono quelli che fanno parte persino di gruppi social che inneggiano alla libertà di opinione e alla libertà di satira; sono quelli che sono così attaccati alle loro idee, le uniche degne di nota, e all’idea di libertà da essere disposti a tutto: persino a cercare di obbligarti a stare zitto pur di far valere l’unica opinione che hanno – di quelle granitiche, che non cambiano mai per tutta una vita (e poi si lamentano perché lo prendono in quel posto).
Sono quelli che sono per la libertà a qualsiasi costo, la loro prima di tutto; sono quelli che basta con le querele temerarie!, ma poi ti danno del fascista perché non la pensi come loro e siccome la satira, quella vera, non la capiscono, si incazzano a morte perché scrivi una cosa per dirne un’altra e te la prendi coi comportamenti che ritieni di dover criticare e non con le persone. Ma no. Non ce la fanno.
Perché presi dall’idolo del momento, ne cambiano generalmente uno al mese, la critica feroce che tu opponi diventa un attacco che sentono come diretto contro loro stessi, secondo quell’antico adagio che recita “meno conti più il tuo ego si spinge dove non dovrebbe” – a sapere cos’è l’ego naturalmente. Adagio che non esiste, ma è un dettaglio.
Sono quelli che ti danno del fascista perché respiri, o perché scrivi ciò che non vogliono leggere – come se fossero obbligati – e che si prendono la briga di dire che fa schifo in quanto essi stessi scrittori, scienziati, arbitri, correttori di bozze, capiredattori, componenti comitati di lettura di Gallimard, premi Nobel per l’economia, la chimica, la fisica e soprattutto la Pace e che praticano quello stesso fascismo che dicono di combattere (se non nell’ideologia, nella pratica verbale che tastierizzano incoscientemente pensando di far bene).
Perché la satira, Signora mia, è prima di tutto consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda e non è mai incosciente perché sa, per sua natura, che per potersi alimentare deve essere cosciente, informata, intelligente e il più possibile pungente: vittima predestinata, dunque e in ultima analisi, di quel fascismo trasversale che il nostro circuito editoriale quotidiano teorizza da tempo e contro cui lotta con la strategia delle parole (vedasi la rubrica Liberə Tuttə).
(8 novembre 2025)
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