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“L’Esorcista” ha compiuto 50 anni: esegesi di un film-culto

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“L’Esorcista”, il film che ha sconvolto il mondo terrorizzando intere generazioni di spettatori e tutt’oggi considerato un capolavoro assoluto della storia del cinema, è stato presentato durante l’80ª Mostra internazionale del cinema di Venezia in versione restaurata. In occasione del 50° anniversario di quest’opera epocale, tratta dal romanzo omonimo di William Peter Blatty, la pellicola è stata riproiettata anche nei cinema italiani nei giorni 25, 26 e 27 settembre, nella sua spettacolare versione in 4k prodotta dalla Warner Bros. Discovery. Un evento senza precedenti, che ha portato nuovamente l’horror e il brivido nelle sale cinematografiche, illuminando il buio con immagini straordinarie che ancora oggi, a mezzo secolo dalla sua primissima visione, inchioda gli spettatori alla poltrona. Bene: cerchiamo ora di comprendere l’importanza di questo film e perché abbia avuto un impatto notevole, sia in termini culturali, sia sotto il profilo delle scienze sociali.

William Friedkin: un grande regista

Innanzitutto, bisogna parlare di questo regista americano di origini ebraiche, William Friedkin, che considerava il cristianesimo una variante dell’ebraismo. Ai tempi de L’esorcista (1973) egli aveva già vinto tutto con l’ottimo “Il braccio violento della legge”: una pellicola del 1971 che vinse 5 premi Oscar e che rivoluzionò il genere poliziesco per tutto il decennio successivo. Si tratta del vero “film-capostipite” del genere poliziottesco, che spopolò letteralmente qui a noi, portando in auge attori di gran pregio, quali Maurizio Merli e Vittorio Mezzogiorno, oltre a causare una lunga serie di spettacolari inseguimenti automobilistici sulla Tangenziale est di Roma, con relativi imbottigliamenti nel traffico e rotture di palle affini. Bene: dopo un successo del genere, sembrava impossibile che Friedkin riuscisse a ripetersi. E invece, con L’esorcista, questo eccellente regista raddoppiò la posta in palio, alzando l’asticella delle difficoltà sul modello di quanto aveva già fatto Stanley Kubrick con “2001: Odissea nello spazio”. Attraverso L’esorcista, Friedkin riusci a rivisitare il genere horror ponendosi in perfetto equilibrio tra l’antropologia, la filosofia, la psicanalisi e, persino, la teologia. Tutto ciò condito da un uso intelligente degli effetti speciali, al contempo efficaci ed equilibratissimi, in modo da non cannibalizzare il prodotto finale. Per non parlare del profilo più generalmente artistico, sostenuto da un’idea che, a quei tempi, suscitò scalpore, poiché giudicata come una sorta di ‘torsione ideologica’ della religione. Infatti, la protagonista della vicenda, Regan MacNeil, interpretata dalla giovanissima Linda Blair, a un certo punto della sceneggiatura abbandona il binario scontato della ragazzina posseduta da un demone, bensì è il diavolo in persona ad apparire sulla scena, affermando che è la bambina a essere prigioniera dentro di lui. Un’idea sottratta al mondo del teatro di quegli anni, in cui Carmelo Bene aveva riprodotto, nei suoi monologhi, la tecnica del ribaltamento logico a sua volta discendente dal concetto di alienazione marxista. Un modo raffinato di scavalcare, in forma rivoluzionaria, il concetto stesso di possessione diabolica, esaltandola a livello artistico ma, al contempo, negandola nella sostanza.


Il regista del male

Ma c’è dell’altro, molto altro, ne L’esorcista. Innanzitutto, il cinema di Friedkin è scorbutico, teso a riprodurre la realtà nelle sue infinite complicazioni, nelle apparenze ingannevoli, nei colpi di scena inattesi, tanto da meritarsi l’appellatvo di regista del male. In secondo luogo, egli fu il primo regista cinematografico a individuare la teoria del capro espiatorio, richiamandosi alle teorie filosofiche di Paul Michel Foucault e a quelle della violenza mimetica di René Girard, funzionali a smascherare le varie forme di irrazionalismo strisciante sempre presenti all’interno di una società che tutti noi riteniamo, a torto, secolarizzata e stabilmente democratica.

 

Premesse varie

Ai tempi della primissima visione di L’esorcista io sottovalutai a lungo quest’opera filmica, riscoperta solamente all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso dopo averla erroneamente scambiata, per più di un decennio, per un normalissimo film ‘horror’ a sfondo religioso, tipico del suo genere. Ebbene, dopo una seconda e più attenta visione, ho dovuto prendere atto che non si trattava del solito filmetto hollywwodiano tipo “La casa” o “Il ritorno dei morti viventi”. Dunque, cominciai a scavare all’interno della sua sceneggiatura, che sin dall’inizio mi apparve fondamentalmente tesa all’eliminazione del ‘negativo’ anche a costo di prendere il diavolo a cazzotti (cosa che in effetti accade nella scena finale, ndr), impegnandosi in una ricerca quasi spasmodica della verità. Di qui, presi le mosse per andare a decodificare una serie di elementi simbolici estremamente interessanti. Riprendiamo, pertanto, il metodo dell’inchista già sperimentato con il tema dei vaccini – in merito ai quali avevamo perfettamente ragione noi, come testimioniato dal Nobel assegnato in questi giorni a Katalin Karikò e Drew Weissman – e dal nostro più recente approfondimento circa l’esistenza o meno degli alieni.


Scena del ritrovamento archeologico

Il film si apre con il rinvenimento, da parte di un sacerdote-archeologo piuttosto anziano (padre Merrin, interpretato da Max von Sydow, ndr), della testa di un demone assiro-babilonese, assieme a una sorta di medaglia-amuleto raffigurante San Giuseppe, di epoca assai più recente. Il ritrovamento sconvolge padre Merrin, sia perché le due raffigurazioni erano palesemente distanti fra loro, sia perché la testa del diavolo raffigurava una statua a grandezza naturale da lui già vista in un altro scavo archeologico, situato dall’altra parte della città di Hatra, nell’Irak settentrionale. Il sacerdote, seppur in difficili condizioni di salute che lo costringono a dipendere dai farmaci, decide di recarsi nell’altro cantiere attraversando, prima a piedi, poi con una jeep, la località irachena. Giunto sul posto, vi è la scena della contrapposizione tra lui e il demone: una sequenza che preannuncia la sfida tra bene e male, accompagnata dal latrato di due cani che si stanno sbranando a vicenda. Ora: perché cominciare il film in questo modo? Non si tratta di semplice esotismo: in realtà, Friedkin ci avverte sin da subito che il vero scopo del Maligno non è possedere le persone, ma quello di colpire tutti gli altri che gli vivono attorno. Il posseduto, infatti, non è una semplice persona scelta a caso, ma uno spirito libero, in grado di disattivare ogni meccanismo mimetico o dissimulatorio all’interno di un sistema sociale. Una tipologia di persone che rappresentano i veri nemici del Male, il quale tende a svuotare i valori etico-sociali per sostituirli con altri, come il denaro o il desiderio di controllo delle masse, affinché queste si distruggano tra loro. In pratica, è uno scontro tra scienza e fede ciò che sottende, sin dall’inizio, questo film, dato che padre Merrin, malato di cuore e costretto a imbottirsi di pillole, nel seguito della pellicola si vedrà costretto a vestire i panni proprio dell’esorcista, da cui il titolo stesso del film.


Padre Merrin e padre Karras: non prendeteli come due uomini di fede

Insomma, sia padre Merrin, sia padre Karras, un sacerdote di origine greca esperto di psichiatria che cerca di alleviare le problematiche depressive degli altri sacerdoti, sono in realtà due uomini di scienza. Una conoscenza che, nel loro caso, viene portata a sintesi con la fede, ma sempre di scienza si tratta. Anzi, il giovane Karras, il quale ha anche un passato da promettente pugile, ha dei problemi alquanto seri con la fede, poiché la vede sempre più estromessa dal confronto con l’irrazionale, che si sta diiffondendo sempre più all’interno della società. In buona sostanza, l’irrazionalismo emotivo, secondo Friedkin, riesce a “farsi sistema” producendo degenerazioni e atti di teppismo, come la profanazione di una statua della Madonna all’interno della chiesa in cui padre Karras era solito celebrare la Santa Messa. Un modello sociale sempre più malato e privo di senso – il filosofo cattolico, René Girard, era solito definirlo con il termine mimetizzato, per meglio evidenziarne la violenza, il vuoto atteggiamento, la mera immagine poggiante su una serie di luoghi comuni o verità automatiche  – che si è diffuso capillarmente tra le persone. Secondo Girard, infatti, il Maligno ha bisogno di confondersi con il popolo, di farsi scudo dei “così fan tutti”, dell’opportunismo di convenienza, dell’edonismo più epicureo. Il Male non vuole uomini liberi, ma sudditi obbedienti alla sua idea di “omologazione distruttrice”: egli si aggira all’interno della società, la quale tende a non affrontarlo, che si rifiuta persino di guardarlo negli occhi, perché convinta che lui neanche esista, portando tutti quanti a pensare che determinati disvalori siano, in realtà, il solo e unico modo di vivere degnamente. Insomma, conoscenza e ignoto sono destinati per forza al conflitto, perché il secondo si basa sull’accettazione della ‘non risposta’. Come accade, per esempio, con il vuoto propagandismo e la demagogia tribunizia, mentre la conoscenza è l’arma di chi, pur essendo da solo – intendendo questa solitudine nel senso perfettamente laico del termine, in quanto forza di minoranza – è colui che è destinato a scavare continuamente, sia tra le viscere della Terra, come nel caso di Padre Merrin, sia nei meandri della mente umana, come nel caso di Karras.


Altre dissimulazione

Insomma, in termini filosofici, William Friedkin sembra porsi dalla parte della fede. Ma non è così: è lui che ci porta a crederlo, traendoci in inganno. Per almeno metà del film, la piccola Regan MacNeil viene più volte visitata da una equipe medica, che sembra non riuscire a venire a capo di nulla. Ma le cose non stanno affatto così: la bambina, durante le visite mediche, vede il demone all’esterno di se stessa, perché il Maligno vuol confondere le acque a medici e infermieri. Percependo che si sta tentando di individuare la causa effettiva dei problemi della ragazzina, egli ne prende possesso nel tentativo di rendere difficilissimo ogni altro esame clinico. In pratica, i primi veri segnali di possessione diabolica avvengono proprio nei vari laboratori medici, che il demonio disprezza, preferendo che la vittima da lui prescelta venga associata a una diagnosi di malattia mentale. Ciò gli darebbe modo, infatti, di utilizzarla vita natural durante, in quanto strumento di diffusione della follia. In buona sostanza, il Male approfitta di tutte le armi che noi crediamo a nostra disposizione: sia utilizzando la piccola Regan, sia generando le varie forme di manipolazione e di mistificazione, che s’instaurano addirittura a sistema contro qualunque forma di avanzamento dell’uomo, sia medico, sia psicologico o anche semplicemente psichiatrico. E, soprattutto, il Male si oppone contro qualsiasi genere e tipo di fede, sia quando questa è diretta verso Dio, sia quando essa viene riposta nella scienza, come per esempio nel caso di padre Karras.

 

Critica della dissimulazione e dello sviluppo tecnologico

Quindi, per tutta la prima parte del film è presente una critica sia verso lo sviluppo tecnologico, come se il corpo di una bambina fosse un automobile, in cui potrebbe bastare il semplice cambiamento di un ‘pezzo’ per risolvere ogni questione, oppure da riporre in un ‘deposito’ (il manicomio, ndr) in quanto mal funzionante. Spinti in ciò dal demone stesso, che induce all’analisi freddamente clinica affinché si rigetti ogni ipotesi riguardante la sua esistenza. Il Male, inoltre, sa ‘mimetizzarsi’ a lungo dietro le varie forme di distanza che gli consentono l’intrusione nella famiglia e, ovviamente, nella psiche più inconscia della bambina. Regan, infatti, viene lasciata spesso da sola o affidata al controllo di una babysitter oppure a un amico qualsiasi, perché la madre, Chris MacNeil, sta girando un film in cui lei interpreta il ruolo di una docente favorevole alla contestazione studentesca, ma impegnata a ‘canalizzare’ la protesta stessa all’interno del sistema universitario medesimo: un esempio perfetto di mimetizzazione sociale. Come si può ben notare, anche qui è presente il concetto ‘girardiano’ di ‘mimesi’, di mescolamento delle ‘carte in tavola’, di normalizzazione della critica, di “dissimulazione”, per dirla con Rosario Villari. Tutto dev’essere ‘indirizzato’ dietro apparenze ingannevoli: una famiglia allo sfascio (il padre è a Roma, ma si dimentica di fare una telefonata alla bambina nel giorno del suo compleanno, ndr); un apparato universitario che tende a respingere qualsiasi contenuto considerato non integrabile con la propria strutturazione gerarchica, dove la riuscita scolastica viene imposta come dovere e non come applicazione di princìpi e contenuti; il regista del film in cui recita la madre di Regan è un alcoolizzato inopportuno che vede nazisti ovunque, anche nel maggiordomo austriaco di casa MacNeil; il prete amico di padre Karras è un narcisista che sogna il paradiso organizzato cone un ‘piano bar’ dove tutti lo adorano, persino gli angeli, per come suona il pianoforte, peccando di vanità e, addirittura, sostituendosi a Dio. Insomma, non è Padre Karras che sta perdendo la fede: è tutto il contesto che si sta letteralmente sbriciolando.


Lo scontro si avvicina

Insomma, a questo punto del film, Chris MacNeil tenta di fare qualcosa. E decide di incontrare padre Karras, dopo aver raccolto alcune informazioni su di lui. L’incontro è splendido, recitato benissimo dai due attori: una madre disperata che chiede aiuto come nel Vangelo di Giovanni, quando mandano a chiamare Gesù perché Lazzaro sta morendo. Non ha bisogno di uno psichiatra: ha proprio bisogno di un prete. Ancora una volta, le carte si mescolano e si confondono. Padre Karras accetta di vedere la bambina, ma sa bene che la questione è diventata un’altra: con chi abbiamo a che fare? Con Satana o con altri demoni? Regan, tuttavia, afferma di essere il diavolo in persona, rappresentando il classico caso della malata di mente convinta di essere Napoleone Bonaparte o Giovanna d’Arco: perché il Male non vuole combattere contro Karras, bensì punta a una resa dei conti con padre Merrin. Di ciò padre Karras non è ancora al corrente, per cui cade nella ‘trappola’ e resta contrario all’esorcismo. Ma la madre di Regan insiste: “Quella cosa lassù non è mia figlia. Pertanto, io ho bisogno di sapere se devo mettere mia figlia in un manicomio, oppure se ha bisogno di un esorcismo: mi dica questo”!


Viene convocato padre Merrin

Anche la Chiesa di Roma non crede all’esistenza del demonio. E infatti, consente assai di rado che si svolga un esorcismo, soprattutto da quando sono state scoperte le malattie mentali. Bisogna raccogliere più prove possibili, sperando che il demone non decida di uccidere Regan prima del tempo. Alla fine, la decisione arriva: padre Karras può assistere al rito, ma viene convocato padre Merrin, che ha già avuto uno scontro con queste forze demoniache, in cui ha persino rischiato di morire. Ed ecco la mitica scena dell’arrivo di padre Merrin a casa MacNeil, in cui scende dal taxi e suona alla porta: la scontro tra bene e male sta per avere inizio.


E’ uno solo

Padre Karras, durante la vestizione per il rito religioso, presenta le entità di cui ha raccolto le voci. Ma padre Merrin sa perfettamente chi ha di fronte e lo informa a sua volta: “Si ricordi, Karras: il diavolo è menzognero, ma insieme alle menzogne mescolerà la verità. Perciò, mi raccomando: non gli dia ascolto”. Padre Karras obietta: “Credo di aver individuato almeno 4 entità”, ma Merrin lo fredda immediatamente: “E’ uno solo”. E’ un passaggio di sceneggiatura molto importante: vediamo perché.


Fare il diavolo a quattro: la trascendenza deviata

A parte la questione dello spoiler, che in un film uscito 50 anni fa è francamente inesistente, il passaggio tra padre Merrin e padre Karras è particolarmente significativo. Per due motivi: 1) perché segnala una sceneggiatura ben scritta; 2) perché si riconnette al pensiero di René Girard, noto filosofo cattolico che teorizzò il sacrificio come via d’uscita dalla violenza mimetica. Per lui, la figura di Satana – o di qualsiasi altro demone – è quella che fornisce una forma di “trascendenza deviata”. Questa si riconosce in quanto connotata da sentimenti di invidia e di gelosia: manifestazioni sublimi di desiderio mimetico. Tutte le altre manifestazioni minori sono semplici forme psicopatologiche. Per esempio, l’alcolismo oggi appartiene a questo tipo di devianze, ma in altri tempi lo avremmo definito con il nome di quale ‘demone minore’, che può comportare dipendenza psicopatologica. Questo è solo un esempio, ma se ne potrebbero fare altri, dimostrando pienamente come nella società contemporanea molte deviazioni e la violenza sono sempre presenti. Solo che esse vengono mimetizzate meglio, rispetto al passato, con l’aiuto di deviazioni molto peggiori, che oscurano le altre. In questo genere di cose, persino Vasci Rossi fa testo, quando accenna al tema della pedofilia nel brano del 1983 intitolato: “Deviazioni”. Insomma, nella società la violenza esiste in varie forme e si esprime in diversi modi. Essa viene però mimetizzata dalla presenza di demoni assai più potenti, capaci di fare il diavolo a quattro, come si suol dire in termini popolari, moltiplicando e potenziando le due forze. Satana stesso non è altro che il demone della violenza che si canalizza contro la vittima, come ne L’esorcista. Egli rappresenta una deviazione vera e propria, che spiega la colpevolizzazione della società delle vittime di stupro, per esempio, per essersela cercata con atteggiamenti leggere e un abbigliamento provocatorio: un’altra forma di violenza mimetica che la società, inconsapevolmente, mantiene nel proprio seno. Da pessimi cattolici.


Le scale

Quanti tipi di scale appaiono ne L’esorcista? Ci avete fatto caso? Innanzitutto, c’è la scala della casa in cui vivono Chris e Regan, che conduce alle camere da letto. Poi c’è la scala della soffitta, salendo la quale ci attendiamo una planimetria coerente con il muro maestro dello stabile, mentre invece ci accorgiamo essere diversa, legandosi ad altri sottintesi o a distinti sottotesti: forse la soffitta deformata segnala altri scandali del passato, convinzioni giovanili errate o suggestioni utopiche da archiviare o nascondere. E c’è la scala degli omicidi-suicidi, lungo la quale rotola padre Karras nella sceda madre del film, diventandone la vera figura cristoligica: quella di chi si sacrifica per liberare la bambina dalla possessione demoniaca dopo che il Male è riuscito a strappargli dal collo la medaglia-amuleto di San Giuseppe, che stranamente rispunta come culto di una famiglia di origine greca, dunque in stretto contatto con le culture del Mediterraneo orientale, tra cui quella cristiana. Come possiamo vedere, tutto è in estrema coerenza con le teorie del sacrificio e della violenza mimetica di René Girard, che è il vero filosofo di riferimento del film, inverando la cultura cattolica migliore, cioè quella che si richiama alla metànoia (anarchia individuale, ndr) del messaggio protocristiano dei primi seguaci di Gesù e non il cattolicesimo politico-istituzionalizzato della Chiesa di Roma. Infine, c’è la scala dell’incubo, in cui padre Karras sogna la madre, ormai deceduta, che risale della metropolitana, tornando per quanche secondo tra i vivi, prima di avviarsi nuovamente sottoterra. Una scala che rappresenta il senso di colpa di padre Karras (che perde, anche in questo caso, la sua medaglia-amuleto vera indicazione onirica della madre, poiché dotata di poteri protettivi, ndr), perché se avesse fatto solamente lo psicologo, rinunciando alla sua fede di sacerdote gesuita che ha fatto voto di povertà, sarebbe diventato più ricco e influente, dunque più rispettato. E avrebbe ottenuto una sistemazione più favorevole per gli ultimi giorni di sua madre, che invece è morta rinchiusa in un nosocomio per poveri. In questo passaggio è dunque lo zio di Karras il demone che gli rinfaccia la sua scelta di fede: un altro personaggio che parla da posseduto da altri, con le parole di un demone mimetizzato perfettamente nella società, in conflitto con ogni forma di fede vissuta con frugalità. Un demone che svela il vero “scandalo” di padre Karras, il quale rappresenta una minaccia per la comunità mimetica. Così come fece scandalo la figura stessa di Gesù, che morì giustiziato non in quanto eretico, causa e movente verso la quale i Romani erano indifferenti, bensì in quanto annoverato tra i malfattori.

 

 

(5 ottobre 2023)

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