di Giancarlo Grassi
Il balletto delle poltrone, quelle presunte, quelle possibili e quelle che non si sa a chi andranno, per non dimenticarsene neanche una, nella giornata del 6 ottobre sembravano andare nella direzione di Salvini, ministro del Lavoro. A proposito delle battute fatte su Di Maio quando occupava la stessa poltrona.
Non è certo nulla. Nulla si sa. Di tanto si parla, ma poco si assicura. L’unica cosa certa è la litania meloniana del “io ci metto la faccia“, come se ci fosse solo lei, con in più le parole della premier in vista dell’incarico, ancora in vista dell’incarico che nessuno potrà toglierle (poi da lì a fare il governo è un’altra storia), che non riescono a nascondere la distanza abissale che separa il dire e il fare.
Così si rimbalza di balletto in balletto mentre le cose che ci sono da fare andavano fatte ieri da un governo in carica, che c’era e che sarebbe andato alla scadenza naturale, ma che è stato fatto saltare in aria per momenti che capiremo molto più avanti per eleggere l’ennesimo governo-farsa con un partito di maggioranza che sta attorno al 26% e una maggioranza silenziosa di incazzati neri che a votare non ci vanno più (pensando di far bene e lasciando spazio a questi esperimenti da apprendisti stregoni che durano dal 1994); i media televisivi in mano ai soliti noti, frattanto, continuano a dividere l’opinione pubblica propinando quotidianamente intramuscolari informative fatte di disastri, bollette da pagare e problemi guerreschi, facendo credere di essere dalla parte della gente.
Ecco così che la poltrona di Salvini, sulla quale tutti ridiamo, scherziamo e facciamo ironia, è solo parte infinitesimale di quella gigantesca presa per il culo dentro la quale ci troviamo a vivere.
(6 ottobre 2022)
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