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HomeCopertina"Giustappunto!" di Vittorio Lussana: Galantino ti scrivo (parte seconda)

“Giustappunto!” di Vittorio Lussana: Galantino ti scrivo (parte seconda)

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Vittorio Lussana 02di Vittorio Lussana   twitter@vittoriolussana

 

 

 

 

Gentilissimo monsignor Galantino, tenendo fermo il fatto che la classe politica attuale sia esattamente quella da Lei descritta, ovvero “un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem” – termine quest’ultimo che fa espresso riferimento alle svariate forme di prostituzione intellettuale, assolutamente esistenti – “di cooptati e di furbi”, a questo punto sorge la questione di come affrontare e sconfiggere, attraverso modalità pacifiche e democratiche, una mentalità collettiva di tal genere, di cui è impregnata non soltanto la classe politica di questo Paese. Altrimenti, certe sue dichiarazioni, per quanto largamente condivisibili, finiscono con l’apparire generiche e ingenue, facendo il ‘gioco’ di chi punta a escludere totalmente il punto di vista morale della Chiesa di Roma dal dibattito complessivo. Quelli attuali non sono più i tempi in cui ci si può attardare a combattere contro i ‘mulini a vento’, secondo suggestioni ‘donchisciottesche’. Dunque, Le chiedo cortesemente di provare a seguire il ragionamento che vengo a proporLe. Il messaggio universale della religione mal si adatta, nel tipo di società consumistica nella quale viviamo, a diatribe siffatte e rischiano di far passare Lei come un illuso d’altri tempi, alla ricerca di un’etica che, già da tempo, non esiste più. L’Italia ha subìto una forma di modernizzazione forzosa, assai accelerata, grettamente pragmatica. A ciò non sono conseguite quelle forme di progresso culturale, antropologico e sociale che avrebbero dovuto predisporre la società stessa e i suoi singoli cittadini verso precisi modelli di educazione civica e di principio, da applicare alla specifica realtà di tutti i giorni. In buona sostanza, attingendo alla ‘grandiosa malvagità’ del dottor Hannibal Lecter: “Ogni singolo italiano non è riuscito ad andare più in là di una generazione rispetto ai rifiuti umani dai quali proveniva”. E’ la diagnosi più lucida che la cultura occidentale sia riuscita a elaborare, in questi ultimi decenni intorno alla gravissima mancanza di quello sviluppo culturale che avrebbe permesso alla nostra comunità di avvicinarsi maggiormente verso quelle verità oggettive, filosofiche ed etiche di cui aveva disperatamente bisogno. Ciò non significa che si debba per forza rinunciare a qualsiasi progetto finalizzato a una società rinnovata, una sorta di ‘città dell’uomo’ all’interno del quale far valere, laicamente, principi e valori anche di provenienza religiosa o di natura filosofico-morale. Ma per poter rimettere in moto un simile processo, riteniamo che la Chiesa cattolica e la stessa Conferenza episcopale da Lei rappresentata, in qualità di Segretario generale, debbano compiere lo sforzo di guardare in avanti, anziché rimpiangere nostalgicamente quell’influenza del passato che i vari processi di secolarizzazione hanno fortemente limitato, sin quasi a ridurre la religione a una mera visione segmentata e frammentata. Proprio la ‘laicità’ del figliolo del falegname di Nazareth dovrebbe, a questo punto, giocarsi la sua ‘partita’, ricorrendo non soltanto al “candore delle colombe”, ma anche, se permette, “all’astuzia dei serpenti”. Altrimenti, non soltanto il messaggio ‘gesuano’ per una salvifica speranza, ma le stesse culture laico-democratiche non potranno eludere l’accerchiamento di quelle subculture che hanno realizzato una società di qualunquisti con la Laurea “attaccata al muro”, ovvero secondo i parametri sincretici di una cultura ‘media’ in quanto mero bagaglio ‘formale’, anziché applicazione quotidiana di principi, valori e contenuti integrali. Lei ha pienamente ragione allorquando denuncia una classe politica italiana fondamentalmente clientelare e feudale. Ma una simile diagnosi dovrebbe anche essere affiancata da un nuovo disegno di società, che superi quel consumismo edonistico che porta l’uomo ad avvitarsi negli oscuri meandri della disperazione e della depressione, ovvero sino alla consumazione stessa del proprio ‘Io’ interiore. Ecco perché, pur essendo stato giusto, alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, rinunciare alle utopie ‘scientiste’ del socialismo coatto, riteniamo sia stato, al contempo, commesso un errore assai grave, mandando al ‘macero’ anche quelle culture politiche identitarie che possedevano le radici storiche, filosofiche e morali in grado di evitare una crisi di valori profondissima. Nella società attuale, soprattutto allorquando essa risulta immersa nell’indistinzione e nel qualunquismo opportunistico, sarebbe infatti buona cosa predisporre un sistema rinnovato di valori e princìpi, mediante i quali permettere alla società stessa la possibilità di confrontarsi con la propria coscienza interiore. Dunque, nell’individuare un obiettivo di questo tipo, rimaniamo convinti che scienza e fede possano essere, tra loro, più alleate che nemiche. Ed è esattamente per questo genere di motivi che risulterebbe corretto, oggi, provare a compiere alcuni passi in avanti: sono ormai necessari, se non impellenti, alcuni processi di trasformazione sociale che possiedano obiettivi certi e una serie di input strategici condivisibili, senza cioè che vi sia il predominio egemonico di una cultura sulle altre. Se continueremo a limitarci alla denuncia generica del male, senza proporre soluzioni concrete e adatte ai tempi, non faremo altro che fornire ai corpi sociali che proviamo a giudicare plausibili margini di smentita dei propri errori. Non possiamo unicamente attenerci alla ricerca di comportamenti etici da parte del prossimo, poiché ciò dimostra solamente che quella stessa etica non la possediamo nemmeno noi, laici o cattolici che dir si voglia. Se, invece, si tornasse a far riferimento a quei modelli culturali identitari ben distinti tra loro, ma fondati sulla roccia della moralità, del buon senso, del razionalismo e dell’onestà intellettuale, allora si potrebbe provare a condurre il mondo verso quella ‘città dell’uomo’ in cui l’umanità stessa potrebbe dimostrarsi maggiormente coerente anche con il disegno divino. Insomma, monsignor Galantino, per dirla con Hanna Arendt: “Sono le tradizioni totalitarie e assolutiste quelle che hanno sempre combattuto le culture umane”, opponendo la disumanità al razionalismo, il banale estremismo al radicalismo di ciò che è buono e giusto. E’ esattamente questa la ‘lectio magistralis’ che il mondo deve, con risolutezza morale, decidersi ad apprendere. Integralmente, senza più alcuna ‘doppiezza’ o ipocrisia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(21 agosto 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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