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Pestaggi: l’involuzione di un popolo che pensa al mondo virtuale come all’unica realtà possibile

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Pestaggio 00di Iosonodio

 

 

Il pestaggio di Genova ad opera di sei ragazzi – delinquenti, che altro – che hanno approfittato di un equivoco per scatenare la loro violenza ed il loro odio su un uomo solo passeggero di un autobus notturno, vestito in modo troppo eccentrico per la loro panfobia, senza che nessuno intervenisse, nemmeno i presenti, senza che nemmeno l’autista si prendesse la briga di chiamare la Polizia, evidenzia come l’Italia sarà in futuro preda di cittadini incolti,  incapaci di distinguere il bene dal male, preda dei loro furori intestinali, vittime inconsapevoli del genio del male che è riuscito a far loro credere che la realtà sta dentro uno schermo televisivo e che la vita vera non esiste, vittime di una percezione della loro realtà soggettiva totalmente distorta.

 

Stesso discorso vale per l’autista del bus (erano le 3.49 del mattino) che non ha mosso un dito: non ha chiamato la Polizia, non ha chiamato i soccorsi (l’uomo contro i quali i sei si sono accaniti è in coma farmacologico, non parla, viene alimentato “a fatica”), si è disinteressato di quanto stava accadendo attorno a lui: una realtà che non lo riguardava, evidentemente, che non era quella prevista per quella notte di lavoro e che pur avendo a che fare direttamente con lui, con l’autobus che guidava, è stata rimossa, ignorata, non è mai esistita. E’ stato denunciato per favoreggiamento. Perché la realtà oggettiva esiste.

 

L’invasione della televisione che snatura i comportamenti antisociali normalizzandoli e li spettacolarizza, indagando con le telecamere e giornalisti compiacenti che vedrei volentieri disoccupati, insinuandosi nella vita di vittime e carnefici, mostrando di loro tutti i lati possibili con una morbosità che crediamo riguardi più autori ed addetti ai lavori che il telespettatore, questa televisione fatta per persone di livello culturale inclassificabile, costruita con sentimenti semplici: odio, amore, desiderio, vendetta, è in qualche modo complice di questi accadimenti. La testa vuota del decerebrato panfobico gode dell’idea di finire sui giornali e di poter gridare al mondo in tivù (magari anche dietro compenso, perché no) il suo odio, il suo risibile credo, la sua idea di nulla, il suo vuoto cosmico. E’ sempre protagonista del suo personale Grande Fratello che si costruisce attraverso una rappresentazione di sé fittizia gestita con la banda di amici, con la ragazza o il ragazzo, sui social network, attraverso l’abbigliamento, il suo branco. Migliore dell’altro branco. Nemico di tutto e di tutti, il decerebrato panfobico deve riempire una vita che non è capace di vivere: non si informa, non studia, non lavora, non fa progetti, non viaggia, non scrive, non cerca lavoro, non se ne inventa uno, non si migliora, non ha idea del futuro, vive l’oggi: con la pancia, perché cervello non ne ha. Il pestaggio del presunto omosessuale è una scusa (il decerebrato scopa avec n’importe qui, non stupitevi se lo trovate sulla chat line gay o sul sito d’incontri,  sperimentando la sue erezione in diretta webcam con un amante virtuale australiano), ma nel suo Grande Fratello personale pesta chiunque non gli piaccia. Opera sulla realtà che non gli garba distruggendola, perché il conoscerla è troppo per la sua povera testa. L’altro non gli interessa. Incapace com’è di andare oltre il suo circolo privato.

 

Con la panfobia di pochi deficienti avremo a che fare per molto tempo, per la gioia di Salvini. Chiunque voglia un ritorno all’Italia in cui si pensava, sappia che è con costoro che andranno fatti i conti. E con tutti – tanti! – i politici che dei decerebrati panfobici vogliono i voti. Vive l’Italie!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(5 agosto 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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