di Rosario Coco twitter@RosarioCoco
La festa mondiale, non c’è che dire, la meritavano. Una squadra da 5 edizioni sempre in semifinale, un calcio professionale e organizzato al massimo, in crescita costante.
Tuttavia anche Frau Merkel gongola e non possiamo certo dire che la sua Germania è quella del calcio. Presso l’opinione pubblica, si sa, la vittoria di una competizione come i mondiali di calcio, getta un Paese sotto i riflettori del globo. Allora forse vale la pena di dire qualcosa sull’annosa questione dell’”esempio tedesco”.
Anche noi italiani a volte sembriamo quasi bipolari: “Un Paese dove tutto funziona, ci sono le regole… Però la Merkel, i crauti e persino i sandali con i calzini”.
Discorsi da bar in mezzo ai quali si nascondono tuttavia delle verità.
Si potrebbe dire che il calcio tedesco rappresenta la summa di quanto la Germania possa esprimere di positivo. I club hanno obblighi di trasparenza di bilanci qui inesistenti, le tifoserie organizzate devono detenere per statuto federale il 50% più uno delle quote delle società, l’impegno verso i settori giovanili non è dato solo da una mera percentuali degli utili da reinvestire, ma dall’obbligo di avere una squadra per ciascuna categoria giovanile a partire dall’under 12. Non da ultimo, la capacità di valorizzare lo sport come strumento di integrazione, con il risultato di ritrovarsi una grande squadra con talenti di orgini diverse, un risultato che parte certamente da lontano.
Insomma, organizzazione, professionalità, visione nel lungo periodo, capacità di sacrificio.Una nazione che cura al meglio i propri interessi. Andrebbe però spiegato ai tedeschi, che gli Stati e le economie non sono certo tutte uguali. E sopratutto non sono aziende ( o società sportive) che devono vivere con l’ansia di chiudere in attivo. Questa storia dello “Stato-famiglia”, che non deve fare debiti, è quando di più deleterio la cultura teutonica abbia contribuito a diffondere in Europa.
Per dirla in breve, devono capire che non ci sono solo loro. In fatti, c’è un pizzico di malafede in questo nucleo filosofico dell’austerity (contestato anche da alcune forze politiche tedesche.) Basti pensare a come è stata realizzata l’unificazione tedesca quando il marco e la moneta dell’est erano cambiati 10 a 1. Improvvisamente vennero messi “alla pari” con una massiccia emissione di denaro da parte della Bundesbank, e con un consistente rialzo dei tassi di interesse fino al 10%. Tutto quello che, come scritto nelle tavole della legge di Maastricht la BCE NON deve fare. La riunificazione tedesca, tra le altre cose, determinò nel 1993 anche l’uscita dell’Italia dallo SME, il sistema pre-euro che regolava le fluttuazioni tra le varie monete europee. Pochi sanno che tra il 94 e il 95, la nostra economia è stata nonostante tutto tra le prime al mondo, facendo sostanzialmente quello che aveva fatto la Germania: emettere moneta.
In un convegno dello scorso settembre, a Roma, Olaf Henkel, ex presidente degli industriali tedeschi, ha ammesso candidamente “nel 1998 incontrai Prodi, Amato e Ciampi e mi feci convincere che l’Italia era “pronta” per l’euro. ho sbagliato. Ma in Germania hanno voluto l’Italia nell’euro solo per ridimensionare un concorrente economico nelle esportazioni, che all’epoca era molto competitivo”.
Insomma, i nostri amici germanici un buon esempio? Forse sì, ma non se facciamo quello che dicono, bensì se facciamo (in parte) quello che FANNO.
(14 luglio 2014)
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