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Quella “leggerezza” nello scriver di ghei che davvero non si sopporta più

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Omofobia Cartellodi Il Capo

 

 

Siamo incappati in un articolo de Il Fatto Quotidiano che ci ha lasciati con la bocca un po’ amara. L’articolo, intitolato “Le 5 cose che un gay deve assolutamente fare alle soglie dei quarant’anni”, propone ironicamente (forse) alcuni degli stereotipi – in sé profondamente omofobi – che sono di aiuto a chi è contro a tutti i costi a farne un’arma di battaglia politica.

 

Rimango colpito perché di tutte le cose elencate nell’articolo io non ne ho fatta nessuna nel corso della mia vita, decidendo a 18anni di smarcarmi dai luoghi comuni e di vincere la mia battaglia personale nell’ambiente in cui mi trovavo, stando fuori da quello che viene definito “L’ambiente gay” che tutti dicono di odiare e sul quale si spendono fiumi di parole. La battaglia è stata ampiamente vinta a livello personale. Poi va vinta per tutti, ma questo è un altro discorso.

 

Premettendo che tutto è legittimo e che ognuno è libero di scrivere ciò che vuole, ho però la sensazione che troppo poco ci stiamo occupando di come dire le cose; troppo poco stiamo cercando di uscire noi stessi da certi schemi linguistici e descrittivi di una realtà troppo circoscritta a punti di ritrovo LGBT e a comportamenti che non appartengono più (se mai sono appartenuti) alla maggioranza delle persone omosessuali di questo paese, rimanendo all’interno di un’ironia che ironia non è nemmeno più, ma è un giocherellare un po’ puerile sulle solite cose: la palestra, la discoteca, Mykonos (ci vanno ancora a Mykonos? Che due balle!), il tempo che passa e la solitudine, gli appuntamenti via smartphone.

 

E’ un vizio della stampa cartacea italiana quello di non cercare di uscire dagli stereotipi più biechi nemmeno se la prendi a calci: La Repubblica continua a parlare di matrimonio gay, nozze gay o nozze lesbiche, così fanno tutti gli altri. Non ho trovato, a parte la rubrica di Delia Vaccarello sulla nuova [sic!] Unità, l’utilizzo della locuzione matrimonio egualitario da nessuna parte. Non che ci voglia molto, certo comporta battere su qualche tasto in più. Non solo nel senso di tastiera. Uguale la storia sugli altri quotidiani come Corriere, La Stampa, Messaggero. Pare che qualsiasi sforzo di comunicare una visione differente, più moderna, più aperta, meno in the ghetto, meno settaria, più vera, delle persone omosessuali cada nel vuoto. Troppe volte purtroppo, ad opera della stampa nazionale.

 

Sarebbe bello riuscire a porre fine a tutto questo ed inaugurare un nuovo modo di comunicare, chiamando le cose col loro nome, uscendo dagli stereotipi da discoteca da ventenni insulsi, dal linguaggio finto-provocatorio del vate di turno. Il problema è che in questo paese siamo tutti e tutte ancora profondamente omofobi. Persino quando siamo gay o lesbiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(28 luglio 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©gaiaitalia.com 2015 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

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