di E.T.
Da mesi e mesi gridano e straparlano di patrimoniale pensando che gli Italiani li ascoltino (e la crescita di Meloni nei sondaggi, continua, pare non insegnare nulla), e senza curarsi del fatto che a ogni dichiarazione relativa alla patrimoniale uguale panacea, la presidente del Consiglio li faccia secchi, abilissima nel girargli contro le loro stesse dichiarazioni.
E’ un vizio antico: da Felipe Gonzales a Zapatero, da Tony Blair e François Hollande, da Schmidt a Tusk e fino a Sánchez, la sinistra più o meno moderata di questo paese è riuscita ad innamorarsi di un nuovo genio del benessere e dell’uguaglianza sociale individuando un nuovo salvatore della Patria e della sinistra in ogni esponente progressista che ha vinto le elezioni in qualche paese europeo o mondiale; ne ha sposato le tesi, le ha vendute come faro della nuova sinistra italiana e poi tutto è tornato come prima. Ora siamo a Mamdani, neo eletto sindaco di New York, della cui azione politica ancora non si sa nulla, perché non ha ancora iniziato a governare, già eletto a nuovo miracoloso miracolo della sinistra italiana.
Ma i fatti e le cronache della politica dicono che la sinistra in Italia programmi non ne ha. La sua opposizione non incide sull’azione governativa. Si ripiega sulle discutibilissime scelte di una leader della CGIL secondo noi poco lucido e troppo impegnato a guardare dentro l’ombelico del sindacato che presiede. Non propone nulla di sensato. SI limita a denunciare (e lo fa male) quello che non va. Non ha un leader – col 2027 dietro l’angolo – e continua a dimenticarsi di fare i conti con il fatto semplicissimo che l’Italia è politicamente del tutto differente, nelle dinamiche sociali e politiche, da qualsiasi altro paese europeo. Che la politica italiana, i suoi ritmi, tempi, le sue modalità, le sue lentezze, la sua farraginosità, sarebbero del tutto inapplicabili e fuori dal tempo (e dallo spazio sociale), e quindi impensabili, in qualsiasi altro paese europeo – chi scrive ha vissuto abbastanza all’estero, e in più paesi, da poter parlare da persona che conosce i meccanismi elettorali di più nazioni.
E non mi ha fatto piacere vedere che tutto quello che in Spagna, ad esempio, è assolutamente semplice – persino un cambio di maggioranza parlamentare senza ritorno alle urne – sarebbe del tutto impensabile in Italia. Oltre che inapplicabile.
Non è certo colpa di Schlein, come non la sarebbe stata di Bersani, se ad esempio il PD – per dirne uno – è quanto di più perfettamente immobile e avviluppato su se stesso che sia dato vedere nonostante proclami e programmi sinceramente progressisti che poi non trovano applicazione nell’azione di governo (non vorrei soffermarmi su quale sia stata la maggioranza che ha votato la legge sulle Unioni Civili, e costringervi a ricordare i modi in cui è stata votata e cosa si è dovuto sacrificare).
Dunque perché entusiasmarsi per tutto ciò che viene dall’estero se non per uno sterile e insopportabile provincialismo che è ormai impraticabile persino a chi lo idolatra, ma è soprattutto una via politica senza uscita?
Si rinnova così in questo paese, con le azioni inconsistenti dell’opposizione, l’antica tendenza al mettere in pratica il notissimo cambiare tutto perché nulla cambi che è un po’ lo specchio dentro il quale si guardano i partiti d’opposizione – dal PD al M5S, ad AVS – cercando di cavalcare la scelta governativa del momento per contestarla senza riuscire a proporre nulla, da opposizione che fa opposizione, che abbia anche solo la parvenza di un programma di governo. Finirà, come le altre volte, che ci vorrà un Renzi qualsiasi, per tirarli fuori dai casini quando sarò necessario un leader che sia veramente degno di tale nome a tirare il carro di una coalizione che sia una e unita – benché trina o multipla.
(9 novembre 2025)
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