di Daniele Santi
In un paese il cui PIL cresce da decenni dell’1%, e spesso dello zero virgola pochissimo, la Corte dei Conti si è presa il lusso di dire “No” al Ponte sullo Stretto noto come ponte di Salvini per questioni, si immagina, strettamente legate ai conti che, anche se le motivazioni saranno rese note entro trenta giorni, non tornerebbero. E la premier convoca d’urgenza i ministri a Palazzo Chigi. Ed ecco che il fare le pulci ai conti rischia di diventare un clamoroso assist alle pulsioni illiberali del governo.
Perché la furia di Meloni ha chiarito, come se ce ne fosse bisogno, che ciò che vuole il suo governo è avere potere sulla Giustizia e controllarla, e data l’inconsistenza di un’opposizione cieca e tonta, non ci stupiremmo se ci riuscisse.
Del resto la storia è sempre quella: se il ponte non si fa è colpa dei magistrati; se i centri in Albania sono un clamorosa tonfo a suon di centinaia di milioni di soldi pubblici buttati nel cesso è colpa delle toghe; se qualche ministro è indagato (che non vuol dire che sia colpevole) è colpa dei magistrati; se si rimanda in patria un carnefice pedofilo ricercato dalla corte penale internazionale su un aereo di stato è colpa della corte penale internazionale. E il 31,2% degli Italiani (ultimo sondaggio di La7) sembra apprezzare.
Siamo del resto nel paese dove fino al 24 aprile 1945 erano tutti fascisti e dal 26 aprile 1945 in poi tutti democratici. Mica c’è da stupirsi.
Così le sorelle d’Italia punteranno sulla mala giustizia con la quale pensano di portare a casa la riforma nel post-referendum. Scrive Repubblica che “dentro FdI si sono fatti l’idea che la chiave giusta per vincere la partita del referendum sia questa: raccontare inefficienze e storture (o presunte tali) della magistratura”. Tutto avviene dopo la beatificazione post mortem di Berlusconi – quella barzelletta della sentenza della Corte che diceva una cosa e i berluscones hanno tradotto in altro con tanto di lettera ai giornali di famiglia della matriarca Marina Berlusconi (e per fortuna la stampa sarebbe in mano ai comunisti, almeno nel racconto della sorelle d’Italia).
E mentre si delira, perché a quello si sta arrivando, al delirio, dell’istituzione della “Giornata della giustizia negata” per il 21 novembre, anniversario dell’avviso di garanzia a Berlusconi nel ‘94, mentre Forza Italia vota a favore della detassazione degli affitti brevi (quella invece è giustizia giusta), continua il racconto di un’Italia che non c’è per dare il via, stravolgendo la Costituzione e le leggi, all‘Italia che sognano loro tra applausi, sondaggi favorevoli e opposizioni ridicole. Ci si arriverà con un referendum grazie alle firme di un quinto dei parlamentari, ma qualche preoccupazione le sorelle d’Italia ce l’hanno perchè anche se il governo è forte nei sondaggi – e inconsistente nella politiche e nell’economia – non è detto che passi (si preparano comitati, si preparano comizi, insomma è una perenne campagna elettorale) tanto da spingere il fratello d’Italia Donzelli a dire che “A differenza di Renzi, Meloni non ha mai detto che se perde il referendum lascia la politica”.
(30 ottobre 2025)
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