di Massimo Mastruzzo*
Il dibattito sul Ponte sullo Stretto di Messina è da sempre carico di contrapposizioni politiche, spesso più ideologiche che tecniche. In apertura, desidero chiarire un punto fondamentale: la mia posizione favorevole alla realizzazione del ponte non implica in alcun modo una condivisione delle idee, del linguaggio politico o delle strategie comunicative della Lega o del ministro Matteo Salvini, che rappresentano una visione dell’Italia e del Mezzogiorno profondamente distante dalla mia.
Ritengo però che una proposta infrastrutturale di questa portata meriti di essere discussa al di là delle appartenenze politiche, con uno sguardo lucido, pragmatico e fondato sui dati. È su questa base che propongo un’analisi dei potenziali benefici – ma anche delle criticità – legati alla realizzazione del Ponte sullo Stretto.
Il progetto: ambizione e impatto economico
Il Ponte sullo Stretto è uno dei progetti infrastrutturali più ambiziosi d’Italia, pensato per connettere la Sicilia alla Calabria attraverso una struttura stradale e ferroviaria. Come ogni grande opera pubblica, presenta sia opportunità che sfide, e la sua valutazione deve necessariamente partire da una riflessione approfondita sui costi e benefici.
Secondo le stime, la realizzazione del ponte potrebbe generare un incremento del PIL nazionale di circa 2,9 miliardi di euro all’anno, pari allo 0,17% del totale. Con una lunghezza di 3.660 metri, il ponte sarebbe il più lungo al mondo nella sua categoria. A livello occupazionale, si prevede la creazione di 10.000 posti di lavoro già nel primo anno di cantiere, con il potenziale di raggiungere fino a 100.000 unità complessive, grazie all’indotto. Circa 300 imprese sarebbero coinvolte nelle opere.
Sul fronte ambientale, la realizzazione del ponte potrebbe contribuire a ridurre le emissioni di CO₂, con un risparmio di circa 140.000 tonnellate annue, grazie alla diminuzione del traffico marittimo e all’aumento dell’efficienza dei trasporti.
Il nodo strategico dello Stretto
Lo Stretto di Messina è uno degli snodi cruciali del sistema infrastrutturale italiano ed europeo. Ogni anno, attraverso questo tratto passano circa 100.000 corse di traghetti, che trasportano oltre 11 milioni di passeggeri, 5 milioni di tonnellate di merci, 1,8 milioni di veicoli leggeri, 800.000 veicoli pesanti e 60.000 carri ferroviari (dati 2019). Questo flusso intenso di traffico rende la zona un punto di congestione strategico per l’Europa, in particolare per il corridoio scandinavo-mediterraneo della rete TEN-T, che collega Helsinki a La Valletta.
Il traffico, oggi, richiede tempi di attraversamento elevati – circa due ore per i veicoli su gomma, con tempi ben superiori per i treni, soprattutto per l’impossibilità di traghettare treni ad Alta Velocità. Nonostante l’ammodernamento della Salerno–Reggio Calabria, la costruzione del ponte potrebbe ridurre significativamente i tempi di percorrenza, a costi relativamente contenuti.
Priorità infrastrutturali: un falso dilemma?
Tra le principali obiezioni al progetto, molti sostengono che sarebbe più utile concentrare le risorse su altre necessità infrastrutturali: strade, ferrovie, ospedali e altri interventi di base. Una posizione comprensibile, ma che non tiene conto di un aspetto cruciale: la carenza di queste infrastrutture è un problema che persiste anche senza il ponte. In altre parole, la mancata costruzione non risolverebbe la carenza di altre opere infrastrutturali, che continuano ad essere insufficienti.
Perché considerare il Ponte sullo Stretto come un’alternativa, quando simili progetti in altre zone d’Italia – dalla Pedemontana alla Brebemi, dalle grandi opere di Genova all’Alta Velocità Torino-Lione – sono sempre stati visti come complementari e non come contrapposti? In molte altre realtà, come quella genovese, le cifre stanziate per grandi progetti infrastrutturali sono impressionanti:
Terzo Valico dei Giovi: 7 miliardi Gronda autostradale: 3 miliardi Nuova Diga foranea: 1,2 miliardi (destinati a salire a 3) Tunnel subportuale: 2 miliardi Opere di protezione idrogeologica: spesa non quantificabile
Nel PNRR sono stati previsti ben 6 miliardi per il Mose di Venezia, già operativo. In questo contesto, i 13,5 miliardi necessari per il Ponte sullo Stretto – che includono anche opere complementari per integrarlo con le infrastrutture esistenti – non sembrano eccessivi, soprattutto se rapportati alla strategicità del progetto.
Conclusione: una scelta che non può essere rimandata
In assenza di un’opportuna realizzazione del ponte, è più realistico pensare che i fondi previsti vengano dirottati altrove, come accaduto in passato. La mancata costruzione del ponte sarebbe, quindi, un’occasione persa, con benefici che sfumerebbero, mentre il paese continuerebbe a soffrire della carenza di infrastrutture.
Le grandi opere non sono né una panacea né un capriccio. Se ben progettate e integrate, possono diventare un motore per l’economia, l’occupazione e la coesione territoriale. In questo quadro, il Ponte sullo Stretto merita un dibattito serio, fondato sui dati e libero da pregiudizi ideologici.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(16 giugno 2025)
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