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HomeGiustappunto!Quando la notizia è una "non notizia" #giustappunto di Vittorio Lussana

Quando la notizia è una “non notizia” #giustappunto di Vittorio Lussana

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di Vittorio Lussana

A proposito delle armi inviate all’Ucraina, il solito professor Alessandro Orsini, nell’ultima puntata di Non è l’Arena, la trasmissione in onda su La7 alla domenica sera e condotta – spesso con piglio pedestre – da Massimo Giletti, a un certo punto, credendo di portare una notiziona, ha collegato gli Fh 70 – dei cannoni di artiglieria a traino meccanico, capaci di lanciare proiettili di grosso calibro fino a 24 chilometri di distanza – con il piano di pace predisposto dalla Farnesina circa una decina di gironi fa. Ciò, al fine di accusare il Governo Draghi di portare avanti una linea ipocrita e di doppio binario.

Ebbene, per l’ennesima volta, ci siamo trovati di fronte a una correlazione spuria, ovvero a un collegamento forzato, poiché depurato da ogni tempistica di contesto tra due notizie assai distanti tra loro, avvenute con modalità e in fasi ben distinte, la cui competenza non è nemmeno del medesimo dicastero tirato in ballo e cioè, il nostro ministero degli Affari Esteri. Evabbè, dai: come si dice nei giocosi ambienti della televisione italiana? “Tutto fa brodo…. Tanto, il telespettatore è un povero coglione e non capisce un cazzo di queste cose”.

Ebbene, gli Fh 70 non li ha inviati solo l’Italia, innanzitutto. Più semplicemente, si tratta di una tipologia di cannoni che la Nato ha cercato di raccogliere tra le varie forze alleate al fine di riciclarle all’Ucraina, dato che anche l’armamento russo utilizzato nell’attuale “operazione militare speciale” è della fine del XX secolo. Pertanto, la Nato ha pensato di riutilizzarli e, di recente, aveva chiesto anche al nostro Governo se ne avevamo qualcuno di riserva, dato che si tratta di un’arma degli anni ’70 del secolo scorso, dunque un po’ vecchiotta. Inghilterra e Germania, infatti, in passato li avevano dismessi e ce li avevano quasi tirati dietro. A noi italiani neanche servivano tutti quegli obici e ne avevamo quasi la metà di riserva, inutilizzati. Quindi, la Nato ce ne ha chiesti circa una dozzina (la quantità precisa è secretata e non la conosciamo neanche noi…), piuttosto che lasciarli in deposito a far la ruggine.

Questa è la storia degli obici degli anni ’70 del secolo scorso. Ancora efficienti, certo, come può esserlo una buona Fiat 124, che infatti era un’ottima vettura. Ma tutto questo è accaduto ben prima della preparazione del piano di pace della Farnesina. E il collegamento che ha fatto il professor Orsini è un qualcosa di vergognoso, come quando si tende a incolpare il Governo persino del fatto che piova.

Tali tendenze a sparare bordate preparate a tavolino dimostrano, ancora una volta, ciò che andiamo sostenendo ormai dai tempi del Covid: il talk televisivo continua a spettacolarizzare notizie che in certi ambienti e settori sono la normalità. Ovvero: delle non notizie, detto giornalisticamente. E ciò avviene impunemente e da anni, ormai, anche in altri contesti della nostra informazione generalista, che continua a opporsi al vero giornalismo divulgativo, composto cioè da approfondimenti documentati e verificati, oppure al vero giornalismo di cronaca, come sta facendo assai meritoriamente Chicco Mentana con i suoi speciali quotidiani sulla guerra, che riportano immagini e notizie praticamente in diretta.

I teorici del generalismo astratto e del vaffanculo libero, purché in cirillico si difendono affermando: “Gli ospiti di una trasmissione li sceglie il conduttore”. Epperò, se il conduttore di una trasmissione televisiva ha bisogno di rinnovare la propria formazione adeguandola ai tempi, è comunque tenuto ad aggiornarsi professionalmente: non c’è nulla di drammatico, in tutto ciò. Al contrario, le obiezioni da noi sollevate mantengono una loro validità anche per ciò che riguarda le forze politiche, le quali sarebbero tenute a rielaborare la loro dottrina, secondo la lezione mutualista sia del liberalismo crociano, sia del socialismo riformista turatiano, che hanno sempre e coerentemente parlato di tesi adatte ai tempi.

In passato, ogni volta che nel Partito socialista italiano mi ritrovavo imposta la frase “un socialismo adatto ai tempi”, chiedevo lumi al politico o al parlamentare di turno. Si trattava, a quanto pare, di una pia illusione di Pietro Nenni, il quale la piazzava nei suoi discorsi nella speranza che qualcuno capisse che egli stava proponendo una dottrina rivista alla luce dei nuovi fatti, dato che non è affatto vero che gli schematismi ideologici – o anche le semplici formule del passato – vadano sempre bene per tutto e per tutti. Tale questione, cioè quello delle mancate revisioni dottrinarie, è sempre stato un problema tipico delle ideologie. Non soltanto di quella marxista, sia chiaro. Anzi, uno dei motivi dell’ammirazione storica verso alcuni pensatori italo-marxisti del passato, Antonio Gramsci in particolare, deriva proprio dalla sua capacità di rielaborare il proprio pensiero avendo compreso i margini di elasticità del marxismo medesimo, contro la teoria staliniana del “socialismo in una sola nazione”. E cioè l’Urss.

Anche in campo liberale, già negli anni ’20 del secolo scorso, Benedetto Croce cominciò a sollevare molte critiche nei confronti dell’attualismo gentiliano, allorquando l’amico Giovanni Gentile si ritrovò a ricoprire la carica di ministro dell’Istruzione pubblica. “Troppi ordini”, commentava in merito all’operato del filosofo di Castelvetrano. E anche nei confronti del suo sistema di pensiero, cominciavano ad apparire una serie di rigidità e schematismi che, secondo il grande intellettuale napoletano, “tradiscono la tendenza ad adeguare l’attualismo alle esigenze del fascismo, quando invece servirebbe fare esattamente il contrario…”.

Insomma, l’obiezione – le mie in particolari – circa le attuali modalità di condurre i talk show sono fondate: inutile che veniate a scassarmi i maroni. Ferma restando l’autonomia del giornalista-conduttore, proprio di autonomia stiamo parlando e non di libertà anarchica e irresponsabile, che presta il fianco alla disinformazione. Se si sta trattando dell’abolizione delle corride in Spagna, presentarsi con un toro davanti alle telecamere ci appare alquanto esagerato, per non dire ridicolo. O lo si capisce, o lo si capisce: non è che ci siano molti margini di scelta, in questo genere di cose.

L’autonomia di intervistare il ministro degli Esteri russo non è affatto in discussione. Ma se quest’intervista non solo si rivela poco incalzante da parte di chi la conduce, ma si trasforma in un monologo dell’intervistato, anche il telespettatore può rompersi le palle e cambiare canale. Fare solamente domande di sponda non va bene, proprio per dare modo all’intervistato di ribaltare le domande del giornalista e di spiegare meglio il proprio punto di vista, anziché disperdersi tra i vari rami dell’albero genealogico della famiglia Hitler. Proprio a tutela e per rispetto dell’intervistato, bisogna fargli fare bella figura, non lasciarlo andare a briglie sciolte. Altrimenti, finisce che afferma cose opinabili, scatenando nel pubblico un dibattito sul sesso degli angeli: cosa cazzo ne parliamo per fare, se non ci sono prove che la nonna materna di Adolf Hitler fosse o non fosse ebrea?

Quando si pongono obiezioni di tal genere, non significa che si stia teorizzando un ritorno alle veline dell’epoca fascista. Più semplicemente, si sta affermando che l’autonomia del giornalista corrisponde a un principio di libertà responsabile, non al fare più casino possibile pur di ottenere picchi di audience. Così, finalmente, la capirete la scenetta di Luca e Paolo con lo scolapasta in testa.

Forza, colleghi cari: potete arrivarci anche voi, al vero messaggio di fondo di quella gag… Non è così difficile, in fondo.

 

(3 giugno 2022)

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