di Daniele Santi
Decisa a risollevare le sorti di un giornalismo vessato dall’autarchia Mediaset subito dopo l’ascesa di Silvio Berlusconi, era la pasionaria Lilli Gruber che prima di entrare in Rai, con la collega Carmen Lasorella, volto e voce del TG2, per il loro turno di lavoro, chiedeva firme ai cittadini contro “l’imbavagliamento dell’informazione”. Con la discrezione che contraddistingueva ai tempi le due signore della televisione, esse si presentavano in pelliccia e volantineggiavano inneggiando alla libertà del giornalismo, prontamente ‘sfanculate dai romani che le vedevano troppo ben vestitine per essere anche credibili. Allora, come oggi, Lilli Gruber era un’eccellente professionista. Si batté per mantenere un linguaggio consono a ciò che riteneva di dover comunicare. La censura c’era. Ma le battaglie non durano mai molto e soprattutto non si fanno mai due volte dalla stessa trincea.
Le venne offerto un seggio al parlamento europeo dall’ora PD – ebbene sì. Vinse nel suo collegio guadagnandosi oltre 1 milione e 100 000 voti. La fase finale della sua campagna elettorale venne seguita dalla regista Caterina Borelli. Da quelle immagini nascerà il documentario Lilli e il cavaliere – 10 giorni per battere Berlusconi. Non solo lo batté (vinse in due circoscrizioni, Madama Gruber) ma lo svillaneggiò il povero Berlusca, che di voti ne prese alcune decine di migliaia. Dicono, i bene informati, che svolse il suo compito con professionalità, che era sempre preparatissima e che le quattro cinque o sei lingue che parla fluentemente – perché la donna vale – l’aiutarono a districarsi in situazioni politicamente complicate. Fu incaricata di robe delicate tipo il Medio Oriente e l’Iran, mica stupidaggini. Una legislatura, l’aveva detto, e poi se ne tornò a fare ciò che sapeva fare.
Si dimise addirittura sei mesi prima, rinunciando spontaneamente al diritto di pensione.
Poi tornò in tivù, che è il suo mestiere, e fece ancora delle cose carine ed intelligenti. Ben condotte. Culturalmente oneste. Scrisse un certo numero di interessantissimi libri. Dopodiché qualcosa successe tant’è vero che è molto difficile credere che Gruber di “8 e 1/2” di oggi, sia la stessa che ha scritto un testo magnifico come “Ferite a Morte”. Deve esserle sfuggito qualcosa. Come quando andava a cercare firme con la sua collega contro “il bavaglio al giornalismo” imposto da Berlusconi impellicciata e sobriamente ingioiellata. E si prendeva le pernacchie dei romani. O forse quel qualcosa è sfuggito a noi.
Gruber lo sa, si può ancora migliorare. O almeno si può smetterla di essere l’organo di propaganda di Travaglio e del M5S. Poi certo bisogna fare i conti con l’editore, e del domani non v’è mai sufficiente certezza.
(1 aprile 2017)
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