di Mila Mercadante twitter@Mila56170236
Gli attentati in Turchia vengono attribuiti al PKK, un esercito che ha compiuto attacchi dinamitardi contro obiettivi militari turchi e mai ha praticato lo stragismo contro i cittadini inermi. Va sottolineato che il PKK ha sempre lottato con successo contro IS senza ricevere alcun supporto per anni. Appare più che evidente che gli ultimi gravi episodi di Ankara servono a far sì che Erdogan possa agire indisturbato contro i curdi in Siria. Per questa ragione mi pare opportuno ricordare proprio adesso Ocalan, detto Apo. Spendere qualche parola per lui – un uomo che molti vorrebbero disprezzato, dimenticato, morto – è proprio il minimo che si possa fare per stabilire la distanza che passa tra chi ha dentro una febbre di giustizia e chi ha solo l’alito cattivo come la coscienza.
Il leader turco del PKK è un solista, un eroe della Resistenza, eppure viene considerato dal governo turco, dagli Stati Uniti e dall’UE un terrorista. Ocalan in questi anni ha già fatto 7 volte appello per promuovere un processo di pacificazione col popolo turco, e ha chiesto che si istituisse un Congresso per mettere fine alla violenza di un conflitto che dura da troppo tempo e che costringe 25 milioni di curdi alla privazione dei diritti, all’embargo, alle persecuzioni e ai massacri. Nel 2012 si stava aprendo uno spiraglio: alcuni delegati ufficiali si recarono a Imrali e diedero inizio insieme al detenuto Ocalan a una serie di negoziati per la pace, ma la guerra in Siria è stata utilizzata da Erdogan come scusa per far saltare tutte le trattative e qualunque possibilità di intesa.
Lo scorso 15 febbraio il sindaco di Napoli De Magistris ha consegnato nelle mani della nipote di Ocalan la cittadinanza onoraria conferita al leader del PKK. A Napoli la rete Kurdistan è molto attiva e si batte per garantire legalità a Kobane. La data per la cerimonia non è stata scelta a caso: il 15 febbraio del 1999 Ocalan venne arrestato e condotto a Imrali, un’isola nel mare di Marmara, nel carcere di massima sicurezza dal quale probabilmente non uscirà mai più, le cui mura costituiscono l’involucro che avvolge la sua personale leggenda. In quella galera non vi sono altri detenuti, c’è solo lui. L’avvocato napoletano che assiste Apo dal 1998 – Carmine Malinconico – lo definisce “il prigioniero più prigioniero del mondo”. Per la sua scarcerazione sono state raccolte 50 milioni di firme in tutto il globo e nel 2014 la Corte di Strasburgo ha condannato la Turchia per violazione dei diritti umani e particolarmente dell’articolo 3 della Convenzione internazionale che vieta la tortura e i trattamenti degradanti per i detenuti. La Corte di Strasburgo ha anche chiesto per Ocalan la libertà vigilata, ma Ankara non ha nessuna intenzione di rivedere le sue posizioni e men che meno il processo-farsa che si tenne nel 2000 e che terminò con la condanna a morte di Apo, condanna che due anni dopo si trasformò in ergastolo perché la Turchia abolì la pena capitale.
Negli anni ’90 Ocalan “il terrorista” aveva trovato asilo e protezione in Siria, ma Ankara insisteva presso il governo siriano perché il leader del PKK fosse consegnato nelle mani delle autorità turche. Il governo siriano si rifiutò di farlo e continuò a proteggere il leader curdo finché la situazione tra i due paesi si complicò a un punto tale da costringere Ocalan a lasciare la Siria. Se ne andò in giro il viaggiatore, coninuando a chiudere e a riaprire la valigia, ogni volta probabilmente lasciando qualcosa, schegge. Cercò invano asilo politico in altri Stati: il mondo per lui s’era rimpicciolito. Per un brevissimo periodo si trattenne in Russia. Quando gli chiesero di lasciare anche la Russia, Apo venne aiutato e protetto dai servizi segreti greci e in seguito arrivò in Italia in circostanze e con modalità che non sono mai state chiarite. Rimase nel nostro paese per due mesi e 5 giorni, durante i quali tra brusii, cospirazioni, contrattazioni e alcuni sinceri tentativi di appoggio si decise la sua sorte. I tedeschi emisero un mandato d’arresto nei suoi confronti senza però notificarlo al governo italiano, intanto Turchia e Stati Uniti non tolleravano che il nostro paese concedesse asilo politico a Ocalan, e per questa ragione il nostro governo tentennante decise infine di obbedire e violò gli articoli 10 e 26 della Costituzione sul diritto d’asilo e sul divieto di estradizione dei cittadini stranieri perseguiti per reati politici. Si parlò di un “allontanamento volontario” di Ocalan il quale in una lettera dovette confermare di voler lasciare spontaneamente l’Italia. Dopo aver rifiutato di chiedere asilo in alcuni Stati che non riteneva sufficientemente sicuri, Apo si fece convincere a partire per Nairobi, dove a pochi giorni dal suo arrivo venne arrestato dai servizi turchi e dalla Cia. Gli appuntamenti col destino non li riconosciamo mai, neanche facendo attenzione e così in Kenia per Apo fu tutto finito. Nonostante le pressioni di alcuni politici italiani affinché il nostro paese dimostrasse indipendenza dagli USA, una chiara posizione nei riguardi della Turchia e un bel coraggio politico, la risposta del governo D’Alema che si dichiarò disponibile all’asilo politico arrivò fuori tempo massimo: due mesi dopo l’arresto.
(21 marzo 2016)
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