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Quelli che parlano ancora del “nostro” mondo e del “loro”

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Kuwait Attentato Moschea 26 giugnodi Il Capo

 

Una prima riflessione ci viene suggerita dal modo in cui i media italiani hanno commentato i tre differenti attentati dell’Isis in Francia, Tunisia e Kuwait. O meglio, i due attentati in Tunisia e Francia, perché sul Kuwait solo poche parole (nonostante l’attentato alla moschea abbia provocato 27 morti e 222 feriti, tutti musulmani): mentre noi che siamo un piccolo quotidiano online, incrociando le notizie della stampa tunisina con quella francese e con un paio di agenzie, più una telefonata direttamente a Sousse, eravamo in grado di scrivere più o meno ciò che era successo, i media – soprattutto Radio24 che stavamo ascoltando quando la notizia dell’attentato in Tunisia è stata lanciata – pareva si divertissero a citare “fonti ufficiali”, è “un’ultima ora”, dice “il Ministero” e via di questo passo, quando il web aveva già chiarissimamente scritto e comunicato come stavano le cose.

 

Se anche sul terrorismo si deve fare del finto snobismo giornalistco meglio nettarsi il sedere con le ortiche.

 

La seconda ci viene suggerita da numerosi commenti che circolano sui media che contano, quelli intelligenti e da milioni di lettori, quelli che dividono il “nostro” mondo dal “loro”, quasi che ciò che di terribile sta suggerendo con connivenze che possiamo immaginare, ma che non possiamo citare perché non vi sono prove, ciò che l’Isis sta facendo non riguardi tutto il mondo nella sua globalità, senza nessuna differenza tra “noi” e “loro”, posto che il “noi” e “loro” non si basi sulla differenza tra popolazione civile che vuole mantenere la pace, quella pace che pratica e vive, e coloro che invece vogliono un’unica pace, quella basata sui loro principi che nemmeno sanno quali sono, e che perseguono il loro perverso ideale di pace ammazzando turisti inermi, fedeli in moschea, o decapitando un imprenditore che era nel luogo sbagliato al momento sbagliato.

 

Il nostro mondo è un mondo dove le vacche e gli animali di cui ci nutriamo hanno più mobilità di molti esseri umani che non hanno da mangiare e vanno a cercarsi una vita migliore; privilegiati i passaporti dell’Unione Europea, statunitensi o canadesi. Il nostro è un mondo dove quando si parla di extracomunitari si pensa a poveracci che vengono a rubarci il lavoro, ma extracomunitari (cioè extra-UE) sono anche canadesi, giapponesi, statunitensi, australiani, tra gli altri. E forse tra poco anche inglesi e greci. Il nostro è un mondo dove si discrimina sulla base della “presunzione” di pericolosità, di necessità, di competizione sociale. Una competizione che abbiamo innescato noi. Noi che ora ci lamentiamo della gente che ha fame e bussa a casa “nostra”.

 

Vorremmo tanto, da queste parti, che il “nostro” ed il “loro” lasciassero spazio ad una visione più gobale del mondo che ci circonda, realizzando una volta per tutte – e magari scrivendolo – che il pericolo che ci minaccia è globale proprio perché la sete di dominio è diventata globale, essendoci ormai un unico mondo solo ormai nominalmente composto da paesi dalle differenti denominazioni. I morti ammazzati a Sousse, in Francia o in Kuwait sono vittime di una follia senza fine e di cui non si vede il nesso esattamente come i giovani etiopi che fuggono dal loro paese per non essere torturati senza motivo, solo per il rischio di poter essere dei potenziali avversari politici della cricca al potere che vince le elezioni con il 100% dei voti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(27 giugno 2015)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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