di Mila Mercadante twitter@mila56170236
Dello psicodramma tra Grecia e UE stanno discutendo economisti ed esperti da molti mesi, i più lungimiranti lo fanno da anni. Mentre gli esperti e gli stregoni del mercato finanziario si occupano del toto-Grexit, la figura solitaria di Alexis Tsipras emerge come la cima di un monte nuovo durante un terremoto, e sta diventando un archetipo: prima di tutto della sinistra, dato che il suo è storicamente il primo e l’unico partito europeo di sinistra radicale al governo, e poi della dignità e del sud. Si, archetipo del sud, dei popoli del sud. Le sue caratteristiche sono tipicamente meridionali, nel senso che anche a livello politico in lui prevale una spiccata tendenza al rapporto diretto piuttosto che a quello mediato da organismi sociali, nei quali solitamente gli individui perseguono impersonalmente i compiti che gli vengono assegnati.
I popoli del sud del continente, e i popoli del sud di ogni nord nel mondo sono affiliativi e mal sopportano le mediazioni strumentali. Al centro degli interessi di una popolazione del sud c’è sempre il bisogno di integrazione e di sostegno, cosa che al contrario non interessa minimamente i costruttori nordeuropei di protocolli e regole ferree: per loro, per quanto irrazionali ed ingiuste possano essere, le regole vanno sempre e comunque rispettate, pena la perdita dell’autorità, del potere e della faccia. Naturalmente le regole sono sempre favorevoli per il nord.
Il succo della questione Grecia è questo, sostanzialmente: di fronte alla macelleria sociale greca vi è un gruppo di controllori che non prende in considerazione le esigenze dei singoli Stati o di un governo e che non può permettersi il lusso di agire eticamente, preferendo assumere nei confronti dei più deboli un atteggiamento a metà tra il paternalistico (Merkel) e l’autoritario (FMI, Schauble), fino a sfiorare il razzismo quando si dipinge il popolo greco come infido e pigro. La contrattazione in seno all’eurogruppo non è contemplata per il semplice motivo che cedere una volta significherebbe cedere altre volte di fronte a nuovi interlocutori. Tsipras non lo aveva previsto, non conosceva la portata di questa differenza di prospettive, che è invalicabile. Credeva che bastasse proporre qualche cambiamento razionalmente accettabile e favorevole a tutti, soprattutto ai PIIGS, per sfondare tutte le porte e raggiungere un accordo. Il suo punto di vista è opposto a quello che ispira i suoi interlocutori, mossi dalla necessità di imporre riforme e austerità ai paesi in sofferenza per stabilire un ipotetico ed impossibile equilibrio, più concettuale che reale. In nome di un disegno considerato perfetto malgrado le enormi disfunzioni si tende forzosamente al livellamento e alla sottomissione laddove regnano la molteplicità e l’orgoglio. D’altra parte l’eurogruppo e la Germania in particolare non immaginavano di non riuscire a piegare un piccolo ed economicamente insignificante Stato del sud per effetto della stessa illusione che ha ingannato Tsipras: il nord non conosceva e non concepiva la differenza, o meglio nella differenza vedeva e vede, ancor più adesso, la spia di un grave difetto da correggere se non da punire.
Tsipras ha la capacità e l’ardire di oggettivare realisticamente la situazione senza mostrare alcun timore reverenziale nei confronti delle regole, che sono crudeli e dunque – perché mai no? – modificabili. Opporre la creatività e la logica del cambiamento alla rigidità impersonale e senza alternative dell’unione europea per lui è doveroso dal punto di vista politico ma anche dal punto di vista della libertà e della giustizia sociale, per la quale la UE non mostra alcuna sollecitudine. Ci sono aspetti della realtà psicologica delle popolazioni meridionali che non si sono adeguati alla funzionalità della UE fino al punto da privilegiare un interesse astratto a scapito della popolazione. Possiamo anche avere governanti che obbediscono al dettato ma sono evidenti le difficoltà e le forti resistenze che essi incontrano, fino a perdere consensi e fiducia. Noi Piigs non siamo affatto tecnofobi ma siamo diffidenti, più espressivi e indipendenti, certamente imprevedibili perché il nostro ideale sociale è rimasto legato alla centralità assoluta dell’individuo. E’ questo aspetto psicologico che impedirebbe – in ogni caso e al di là degli aspetti macroeconomici – una totale integrazione tra i popoli europei. Il problema intanto non si pone perché l’Europa è una unione di Stati fittizia e del tutto irrealizzata, creata in funzione della moneta come espressione di un modo di governare. L’Europa unita non è stata costruita sulla base di uno scambio o di una reale comunione di intenti, di culture e di politiche. L’euro greco, l’euro italiano o quello spagnolo non saranno mai l’euro tedesco, e non solo a causa delle diverse condizioni economiche.
(16 giugno 2015)
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