di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
In vista delle festività pasquali, ormai imminenti, sarebbe il caso di spendere qualche giornata di riflessione intorno alla grave crisi, culturale e psicologica, che sta attraversando la società italiana. Una difficoltà che deriva dalla mancata analisi della relazione esistente tra la morale cattolica e uno sviluppo tecnologico dotato di un altissimo grado di scientificità. Si tratta di un terreno scarsamente indagato, poiché viene spesso sottostimato il grado di percezione della natura intrinsecamente culturale della rivoluzione scientifica in atto, la quale non è altro che una nuova razionalità produttrice di valori. Limitarsi a osservarne gli effetti sotto il mero profilo dei cambiamenti di costume rappresenta ben poca cosa: un mero esercizio di ‘colorazione’ della realtà che, invece, possiede un proprio ‘scheletro’ di sistema niente affatto neutrale. E ciò non soltanto dal punto di vista dei consumi, ma anche da quello delle nuove regole, dei nuovi comportamenti, dei nuovi bisogni che tecnologia e scienza richiedono, o sono in grado di stimolare. La morale, in genere, è dominata dalla questione del ‘controllo etico’ sull’uso degli strumenti tecnologici e scientifici. Un approccio che le impedisce di interrogarsi sui nuovi problemi che, proprio il dinamismo culturale espresso dallo sviluppo scientifico, finisce con l’imporre alla morale stessa e alla sua organizzazione. Gli atteggiamenti più comuni che si possono riscontrare continuano a dar luogo a risposte contraddittorie, in cui trova posto tutto e il contrario di tutto, dalla deprecazione apocalittica, all’esaltazione degli aspetti ‘miracolistici’ del progresso tecnologico. Ma tutto questo dimostra semplicemente come non solo la morale cattolica, ma anche quelle di tutte le altre religioni dell’intero pianeta siano, da tempo, completamente ‘a rimorchio’ rispetto all’avanzamento tecnologico in atto. La qual cosa si traduce in un sensibile allontanamento tra prescrizione e vissuto, tra norma e prassi. Questo fenomeno avviene poiché il processo di secolarizzazione delle moderne società non è affatto un ‘principio’, bensì un fine. Non rappresenta assolutamente l’inizio di un nuovo mondo o di una nuova era, ma la conclusione definitiva di una ‘lacerazione etica’ già avvenuta da tempo. Si tratta di un distacco tra dimensione laica e dimensione sacrale da cui deriva un senso di schizofrenia sempre più forte, di cui sono avvertibili i sintomi nell’ambito stesso del nostro ‘ethos collettivo’ e il cui prodotto finale è divenuta la prevalenza di un’etica ‘soggettivista’ o meramente corporativa della società, ormai cristallizzata in base a ‘frammenti’ isolati dal proprio contesto. Non accorgersi di tutto questo, non riuscire a cogliere l’errore delle continue derive culturali che stanno avvenendo nel nostro Paese, non può far altro che generare un quadro sociale complessivo sempre più depresso e sconcertante.
(27 marzo 2015)
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