di Il Capo
La tragedia del traghetto Norman Atlantic, in viaggio fra la Grecia e l’Italia, ci offre l’opportunità di scrivere due righe sulla disgustosa maniera di fare informazione, di confezionarla e quindi di mandarla in onda, in questo paese. Non parliamo dell’informazione scritta, ma della pietistica, disgustosa informazione condita di empatia da salone di parrucchiera offerta da certi rotocalchi televisivi mattutini creati per la gioia vulvare di orde di consumatrici incollate alle tivù commerciali.
Spinta dalla certezza di essere viva, e sorretta dall’incontenibile gioia di poter fare domande imbecilli, una giornalista chiedeva ad uno dei protagonisti del naufragio se conoscesse i nomi ed i cognomi di quattro vittime della tragedia che il testimone aveva “visto morire”.
Ci vediamo morire tutti i giorni, ma questo non è certo una notizia. Perché la morte è la nostra ed è meglio soprassedere, facendo invece notizia della morte altrui. Perché mors tua è sempre vita mea.
Non è certo una novità di ora lo scandaloso stato dell’informazione italiana. Non è una novità che ci siano rampanti scriteriate disposte a tutto pur di far sentire la propria voce da un media qualsiasi. Non è una novità che ci siano mediocri disposti a fare qualsiasi cosa pur di essere la voce, la firma o il volto di questa o quella rete di regime.
Quando scrivo regime non parlo di politica, per una volta. Quando scrivo regime intendo invece i vari direttori di testata, capiredattori, capiservizio per i quali il dio non è più la correttezza, la decenza di ciò che scrivono o mandano in onda, ma il titolo scandalistico, il centesimo di punto percentuale in più, l’apparizione nella trasmissione più seguita, la crescita del loro prestigio (sic) personale. Non professionale.
Ho provato una certa vergogna mista a rabbia nell’ascoltare i reportage dal naufragio, con la ricerca della notizia choc, la mancanza di rispetto per la morte altrui, la finta empatia del negozio di barbiere di inizio secolo. Vergogna, rabbia e tristezza.
(29 dicembre 2014)
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