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2014VIRGILIO, EGLOGA TERZA

MENALCA, DAMETA, PALEMONE

 

MENALCA

Dimmi, Dameta, di chi è il gregge? forse di Melibeo?

 

DAMETA

No, ma di Egone; me lo ha affidato poco fa Egone.

 

MENALCA

O gregge sempre disgraziato, pecore! mentre quello lì corteggia Neera e teme che ella mi preferisca a lui, qui un pastore estraneo munge le pecore due volte all’ora, e la linfa vitale viene così sottratta al gregge e il latte agli agnelli.

 

DAMETA

Bada tuttavia ad essere più cauto quando accusi degli uomini; conosciamo bene quelli che, guardando biecamente con gli angoli degli occhi, e in quale tempietto – ma sghignazzarono le Ninfe indulgenti – ti hanno…

 

MENALCA

É stato allora, credo, quando mi hanno visto tagliare con il falcetto cattivo la piantagione di Micone e le viti novelle.

 

DAMETA

O qui presso i vecchi faggi, quando spezzasti l’arco di Dafni e le frecce; quelle cose che tu, perverso Menalca, ti affliggevi di vedere donate al ragazzo, e saresti fin morto se non gli avessi fatto qualche cattiveria.

 

MENALCA

Che cosa potrebbero fare i signori, quando i servi ladri hanno tanta impudenza? Non ti ho forse visto io, birbone, catturare con l’inganno il capro di Damone, malgrado che Licisca abbaiasse ben forte? e mentre gridavo: «E dove si caccia ora quello? Titiro, raduna il gregge!» tu ti nascondevi dietro la giuncaglia.

 

DAMETA

E che, non avrebbe dovuto egli, vinto nel canto, rendermi il capro che la mia zampogna aveva guadagnato con le canzoni? Se non lo sai, mio era quel capro; e Damone stesso me lo riconosceva; ma diceva di non essere in grado di renderlo.

 

MENALCA

Tu lui nel canto? o quando mai tu hai avuto una zampogna legata con cera? non solevi tu, ignorante, storpiare nei trivii con un fischietto assordante una canzone che faceva pietà?

 

DAMETA

Vuoi dunque che facciamo reciprocamente la prova di che cosa ciascuno di noi è capace? io scommetto questa vitella (perché tu per caso non rifiuti: si fa mungere due volte al giorno, nutre con le poppe due piccoli insieme); e tu di’ con quale posta vuoi gareggiare con me.

 

MENALCA

Non oserei scommettere con te nulla del gregge; a casa ho il padre, ho la severa matrigna, e due volte al giorno contano entrambi il gregge, e quella persino i capretti; ma ciò, che tu stesso ammetterai essere di valore molto maggiore (dal momento che ti piace dar di matto), scommetterò delle coppe di legno di faggio, opera cesellata del divino Alcimedonte, nelle quali una flessibile vite sovrapposta con abile compasso veste di pallida edera i grappoli sparsi. Nel mezzo due figure, Conone e – chi fu l’altro, che agli uomini disegnò con la bacchetta tutto quanto il cielo, quali siano le stagioni per il mietitore, quali quelle per il curvo aratore? Non vi ho ancora accostato le labbra, ma le conservo al riparo.

 

DAMETA

Anche a me lo stesso Alcimedonte ha fatto due coppe, ed ha avvolto intorno alle anse il flessuoso acanto e nel mezzo ha posto Orfeo e le selve che lo seguono. Non vi ho ancora accostato le labbra, ma le conservo al riparo. Se guardi alla vitella, non c’è motivo che lodi le coppe.

 

MENALCA

Oggi non mi sfuggirai più; verrò dovunque mi chiamerai. Purché queste cose le ascolti – almeno chi viene avanti, ecco, Palemone; farò sì che tu d’ora in poi non sfiderai più al canto nessuno.

 

DAMETA

Orsù comincia, se hai qualcosa da dire; in me non sarà alcun indugio, non fuggo nessuno; soltanto, o vicino Palemone, riponi questo canto nel profondo dell’animo (non è piccola cosa).

 

PALEMONE

Cantate, dal momento che ci siamo seduti sulla soffice erba, ed ora ogni campo, ora ogni albero germoglia; ora le selve si coprono di fronde, ora è la stagione più bella. Comincia, Dameta, tu poi segui, Menalca; canterete a strofe alterne: le Camene amano le strofe alterne.

 

DAMETA

Da Giove ha inizio il mio canto: tutte le cose sono piene di Giove; egli provvede alle terre, egli ha cura dei miei canti.

 

MENALCA

Ed io sono caro a Febo; Febo ha sempre in casa mia i doni che ama, l’alloro e il giacinto soavemente rosso.

 

DAMETA

Con una mela mi colpisce Galatea, scherzosa fanciulla, e fugge verso i salici, e prima desidera esser ben vista.

 

MENALCA

A me invece si offre spontaneamente la mia fiamma, Aminta, così che Delia non è più nota di lui ai miei cani.

 

DAMETA

Son pronti i doni per la mia Venere; e infatti ho marcato io stesso il posto dove hanno fatto il nido le aeree colombe.

 

MENALCA

Ciò che ho potuto, ho mandato al ragazzo dieci mele dorate colte da un albero selvatico; domani gliene manderò altrettante.

 

DAMETA

O quante volte e che dolci parole mi ha detto Galatea! almeno una parte, o venti, riportatene alle orecchie degli dei.

 

MENALCA

Che giova che tu stesso non mi disprezzi nel cuore, Aminta, se mentre tu insegui i cinghiali io bado alle reti da caccia?

 

DAMETA

Mandami Filli: è il mio compleanno, Iolla; quando farò sacrifici con una vitella in pro delle messi, vieni tu stesso.

 

MENALCA

Amo Filli più delle altre; infatti pianse quando me ne andai e a lungo disse: «Addio, addio, Iolla bello!»

 

DAMETA

Nuocciono il lupo alle stalle, le piogge alle messi mature, i venti agli alberi, i capricci di Amarilli a me.

 

MENALCA

Giova l’umidità ai seminati, il corbezzolo ai capretti svezzati, il salice flessibile al bestiame gravido, a me il solo Aminta.

 

DAMETA

Pollione ama la mia Musa, sebbene sia rozza: Pieridi, pascolate una vitella per il vostro lettore.

 

MENALCA

Pollione anch’egli compone nuovi carmi: pascolate un toro, che presto aggredisca col corno e coi piedi disperda la sabbia.

 

DAMETA

Chi ama te, Pollione, giunga En là dove ha piacere che anche tu sia giunto; il miele scorra per lui, e il rovo spinoso produca l’amomo.

 

MENALCA

Chi non odia Bavio, ami pure i tuoi carni, Mevio, e aggioghi egli stesso le volpi e munga i caproni.

 

DAMETA

Voi che cogliete i fiori e le fragole che nascono in terra, ragazzi, fuggite di qui, un freddo serpente si nasconde nell’erba.

 

MENALCA

Guardatevi, pecore, dall’avanzare troppo: non è bene fidarsi della riva; persino il montone sta ora asciugandosi la lana.

 

DAMETA

Titiro, allontana dal fiume le caprette che pascolano; io stesso, quando sarà il momento, le laverò tutte alla fonte.

 

MENALCA

Adunate le pecore, ragazzi; se prima la calora ha assorbito il latte, come poco fa, invano mungeremo le poppe.

 

DAMETA

Ahi, ahi, quanto è magro il mio toto pur nell’erba grassa! l’amore è uguale rovina per il gregge e per il custode del gregge.

 

MENALCA

Per questi non è certo l’amore la causa, si reggono a stento; non so quale malocchio mi strega i teneri agnelli.

 

DAMETA

Dimmi, e sarai per me come il grande Apollo, in quali terre si apra uno spazio di cielo non più largo di tre braccia.

 

MENALCA

Dimmi in quali terre nascano fiori con scritti nomi di re, e ti terrai Filli da solo.

 

PALEMONE

Non è da me concludere fra di voi una così grande tenzone: e tu meriti la vitella e costui pure e chiunque trepiderà per un dolce amore, o lo proverà amaro. Chiudete i ruscelli, ragazzi: i prati han bevuto abbastanza.

 

 

 

 

 

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