BO SUMMER’ (EL HORNO, a cura di FABIO GALLI)
domanda. Lei parla di mondo normale e mondo spirituale: personalmente in quale di questi due mondi si colloca?
risposta. molte volte ammiro il distacco da tutta quanta l’effimera banalità quotidiana.
d. Lei è decisamente una rockstar, eppure lei ha una bambina davvero molto piccola: come se la cava con le pappine e tutti quanti quei pannolini?
r. La nutro quando piange, la cambio quando serve.
d. E’ vero che una volta si è masturbata durante un programma alla televisione austriaca?
r. Perché mi poni questa domanda, adesso? forse che non ti masturbi mai?
Intervista a Nina Hagen, Anni Ottanta
Capitolo a
A dargli tutto quel tempo che gli occorre, Skeeen è davvero capace di provare e d’impartire l’estasi esattamente lungo tutto quanto il locale… Skeeen non può proprio celarlo nemmeno a se stesso: a mala pena domina l’ansia che in quest’attimo l’assale, allorché, sospinto dal suo stesso interesse si risolve a trascrivere soltanto mentalmente – ma accuratamente, ma molto al di sopra di enigmatiche parole, come fosse una cosa attigua a carceri questo pensamento, come fosse suo remoto parente questo strazio straziante che strazia ma come costretto fosse a conviverci, come fosse un orizzonte velato e oscuro, come fosse un piano secolare, come fosse un mandamento ma orrendamente divino -, la copia affrettata, come fosse, di tutti quanti gli avvenimenti passati e anche futuri della sua vita… e via, e via, e via… ma proprio alcuni di questi avvenimenti, già da molto prima d’incominciare, hanno animo – muto forse, silenziosissimo ma simile a tifone grandissimo – adulto e fanciullo insieme: terra e melma e paura brulla e quasi mancamento e ancora lontananza da primissimo desiderio sono questi avvenimenti. niente d’altro da aggiungere, niente d’altro da dire:
A dargli tempo, quindi, Skeeen è proprio capace d’inebriarsi, d’ubriacarsi nel cuore stesso dell’inferno abissale de El Horno: “il nome del posto è di per sé già strano, è come meraviglioso presagio, non tanto allettante ma come non cedere alla tentazione”, dice nella sua mente Skeeen, “al disarmo totale che prevede un luogo come questo: le luci appena visibili colpiscono in tutta la loro vera crudeltà: una poesia del trasalimento” e via, e via, e via, e così Skeeen entra e nel frattempo dice: “un buco è un buco e non ci si tira mica indietro nei fine settimana di questa città… e via, e via, e via, ecco, e anche questa merda di locale, poi, mica tanto è lontano dalle luride saune che frequento: è soltanto un ennesimo buco, un altro locale da frequentare, un altro nuovo fine settimana da passare all’infinito anche se, proprio per il suo senso immanente di ogni atto che all’interno si compie, non può avere mai fine” condividendo così, quasi per intero – con le estreme forze che gli rimangono – una specialissima amicanza fratella, uno spasimo fecale e sessuale con tutte le altre sventure smaniose che allegramente popolano questo antro disarmonico, questa inquieta rottura con tutto il mondo esterno, questo locale acerrimo.
A dire il vero, nello stato di ebbrezza da Ceres assai avanzata nel quale Skeeen si trova, ad entrare a El Horno prova solamente un disagio più che passeggero e già quasi arriva a sorprendersi e arriva a confidarsi mentalmente cose che non gli sarebbe mai venute in testa, normalmente, di rivelare nemmeno al suo più intimo e letale amico, a maggior ragione a una persona che in un certo senso non conosce affatto, anche se, provando per questa un desiderio vivissimo e cercando quindi di corteggiarla già appena entrato, si mette largamente, in mancanza di altri argomenti, a parlare di sé… e via, e via, e via, e quello ad ascoltarlo distratto e silenzioso e quello a raccogliere tutti i suoi storpi discorsi che inaridiscono, come una condanna, il corpo e il pensiero e i rapporti con il prossimo.
A giudicare dall’esplosione di risa con cui quel tipo saluta la prima confessione di Skeeen – e non è che la prima delle tante che in questa serata daranno un senso minimo alla sua esistenza -, è da credere che lo spettacolo dell’impudicizia possa possa talvolta ispirare altri sentimenti meno forti e meno fantasticati ma così altrettanto fortemente e crudelmente ingiuriosi per colui che ne è oggetto.
“A livello morale con le coppie diciamo che non esiste nessun problema ed è proprio una cosa assolutamente divertente la possibilità di vedere i più svariati atti amorosi fra i due e starsene lì seduti in poltrona come al cine così si finisce per assistere come per una sorta di privilegio impietosi e ammirati a questo straccio d’amitié ” dice una voce al tavolo accanto.
A lunghi passi Skeeen, inquieto, si è già si è già alzato e percorre velocissimamente il brevissimo perimetro della dark che pare, come al solito, inferma e malata: è una mostruosa vacca selvaggia, si sa che è celeste, tutti sanno che è una Selvaggia Vacca Celeste: la dark va benissimo per pasticciare, per spettegolare, per ricordarci tutto il nostro passato, presente e futuro, tutta la nostra comunanza, la nostra pazienza e il nostro sodalizio e va bene per ricordarci tutto quanto intero il nostro povero divenire: un regolare vizio non isolato la dark, ma si direbbe proprio fatto d’equivoci, pseudonimi che nascondono vere identità, ingenui e idealisti disposti a tutto, a qualunque cosa, fino a farsi fare rumorosamente da chiunque come fecero esattamente gli stessi geni poetici che hanno amato, leggendoli, per far rivivere, a quei cari trapassati, ancora un po’ di quotidianità.
A mano a mano che Skeeen si avvicina al canale scuro che conduce alla dark, può vedere davanti a sé l’acqua degli zampilli di sperma scintillare esattamente come nella pallida luce dell’alba e dividersi e sperdersi tutt’intorno sull’alta muraglia quasi impenetrabile, quasi insignificante, quasi anonima proprio quanto un grosso ciottolo o un costone di roccia del muro sgretolato via dal buio antro.
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A partire da questo preciso momento in cui le sue elucubrazioni si manifestano apertamente, per Skeeen finisce qualsiasi analogia: inizia la realtà: finalmente questa vita vera ma col risultato che, ora, le sue parole hanno tutto un altro suono che nessuno capisce, ed è proprio questa la vera causa d’ogni strazio e d’ogni suo tumulto.
“A proposito” dice Skeeen “hai amici che diano una certa importanza a quello che ti capita? Se non ne hai, penso che dopo tutto forse sei decisamente fortunato… e via, e via, e via, ma sto indulgendo senza motivo in questa digressione perché non mi avevano mai dichiarato che avessi un aspetto sofferente, fino al giorno in cui, cedendo all’invincibile attrazione che da qualche anno esercita su di me un bel piede adunco con tanto d’unghia incarnita e peli e peli sul dorso di quel bel piede, commisi la spregievolissima imprudenza di leccarmene uno, anzi due, pubblicamente in questo stupido locale.
A questa affermazione naturalmente l’altro non ha nulla da rispondere se non un sussulto dell’arcata sopraccigliare: resta come inebetito dal grondare rigoglioso e armonico della parole di Skeeen.
“A questo punto della mia esistenza” dice Skeeen “io posso misurare esattamente la difficoltà di rintracciare un avvenimento della mia vita particolarmente confuso, del quale, se io voglio essere veritiero, dovrò nello stesso tempo rispettarne l’incoerenza e conservarne le proporzioni, sempre però sforzandomi di evitare di dargli solo tendenziosamente un significato che non ha avuto o di trattarlo naturalmente con un sangue freddo un po’ troppo eccessivo che piano lo priverebbe, a posteriori, del valore emotivo di cui era permeato… e via, e via, come è nato tutto questo strazio? era pieno giorno? ma era tal quale un giorno del passato? era, questo odiato qualcosa, ciò che veramente lo divideva dalle mie future ore di beatitudine? e via, e via… sarei quindi obbligato ad aprire una parentesi, ma tu stesso devi aver sperimentato che non appena tenti di spiegarti con franchezza, ti trovi come costretto a far seguire ciascuna delle tue frasi affermative da una dubitativa, ciò equivale, il più delle volte, a negare quel che hai appena finito di affermare, insomma, è impossibile liberarsi dello scrupolo un po’ orripilante di non lasciare nulla nell’ombra: quindi niente parentesi, costruzione accurate di spieghi, non storie di piedi di lume, unghie incarnire che mi balenano per la testa, nessun composto tremito che possa anche soltanto lontanamente, che possa passare in questi resti di memorie, nessuna bufera o rabbrividimento che possa… e via, e via, almeno non per ora.. oh ma ti sto forse tediando..”
A questo punto, nuovi mondi si scatenano a El Horno: rovina, estasi, perdita, comunione… e via, e via, il tutto ha come ambientazione un cortiletto assi profondo e scuro: anche qui si scopa, è solo un po’ più freddo, come sul fondo di un oscurissimo pozzo: Skeeen non se ne dispiace di vedere queste cose, questo crea buonissime abitudini, dà ordine a tutti i pensieri e dà concentrazione, insegna – diciamolo pure tranquillamente e senza timore di smentita – la rettitudine… e via, e via, anche nel buio de El Horno il chiarore delle parole giunge, giunge come dall’alto e pure qui gli uomini sono sul fondo del pozzo freddo.
A questo s’aggiunge un istante di piscio su un viso capovolto, stretto in una corda, col naso rosso e l’aspetto paonazzo di quel minimo di soffocamento che gli produce il bandana ficcato in bocca e l’aspetto preoccupato e Skeeen nello spazio intorno a sé non sente più nessuno per un attimo: come fosse vuoto intorno, spazio occultato, ostinatamente tramonto lucido… soltanto quello stesso tipo allungato profondamente sotto quel getto che, come dire, porta anche sopra, su in alto, insomma, lo si capisce, non si intende su in alto fino agli astri celesti: è sufficiente questo pilastro di ragazzone che se lo piscia all’inpiedi e che pare sorreggere il soffitto del cielo non stellato de El Horno perché i cosidetti esterni non esistano proprio più: qui è tutto interno tutto accade del a El Horno e parte finalmente il primissimo pugno di Powerfist che toglie il fiato a tutti gli occhi vivi, dolci e graziosetti e parte la prima fantasmagorica visione di Nina.
dice nina: a volte ho a che fare con gente che è in difficoltà che ha problemi d’ ogni tipo oppure disturbi chimici ed è proprio in questi casi che io medito che io entro in contatto
Abbandona i due che gli stanno davanti e si pisciano, Skeeen si mette a seguirla questavoceincorsivo questa Ninacheparla… e via, e via, in questo interno non esistono piante, ma accade talvolta che sul pavimento pietrificato, da una qualche parte baleni come il riflesso rifiorito di un fist, cioè un effetto improvviso, cioè un’allucinazione meravigliosa, cioè quasi che fosse di un impensabile e inesistente e scomparso e sotterraneo campo di fiori alberati mentre in realtà si tratta di persone vere, culilarghi e pugnistretti che penetrano veramente fino al gomito… e via, e via, questo qui, adesso, è come letteralmente impazzito durante il fist e vede Nina ad ogni fist e da anni Nina gli parla senza prendere fiato, velocissima e senza punteggiatura, lo culla in questo giardino delle delizie delle interiora: una profonda corte: pure quelli de El Horno, che racchiude tale giardino, soltanto raramente scendono a frequentarlo in questa specie di scantinato, qualcuno addirittura proprio mai scende, perché qui è il regno di Powerfist, Powerfist il supereroe, Powerfist che toglie il fiato, Powerfist che parla con la voce grossa e di gola: Powerfist non perdona mai nessuno e mai farsi prendere dalle sue grosse mani perché quaggiù l’aria poco pura male influisce sul suo cervello e il sangue non gli scorre e non ragiona se non di popper, perché qui nel secolare fistare e fistare e fistare e fistare non c’è più via d’uscita, e così attraverso la sconquassatissima fessura anale d’acciaio temprato s’infilano mani e mani e mani e mani e qui, a El Horno, Nina, ogni volta, a ogni fist, esce e racconta e racconta e racconta e racconta ininterrottamente: un’apparizione meravigliosa Nina.
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”Adesso non andare a immaginare” dice Skeeen “che io abbia mentito così spudoratamente soltanto per il grossolano piacere di vedere dar credito ai miei discorsi più fantasiosi
“Adesso ti chiedo: che cosa vorresti fartene di un’etichetta che coprisse una merce dubbia? supposto che alla fine tu sappia nome, età, misure, predisposizioni e qualità di colui che non ha smesso un minuto di mentirti sul tuo conto, a che cosa ti gioverebbe? non ha detto nulla di se stesso che fosse vero, concludine che non esiste. nessuno esiste in un luogo come questo.
“Adesso ti invito” dice Skeeen “a ridere, a farlo apertamente, desidero tu sappia che sono più che disposto ad associarmi alla tua allegria, mi basta credere che qualcuno mi onori della sua attenzione.chi? non ha importanza! qualcuno, foss’anche uno solo che la noia de El Horno rende anche un po’ distratto al mio raccontarmi.
“Adorabile” dice Skeeen, e l’altro si ripromette davvero di non fare male con dei sogghigni o con la migliore delle sue disattenzioni, anche a costo di sentire minor piacere. “la presenza del mio tormento” dice Skeeen “è blu spettro,, estremo raggio blu, raggio raro come il radio, raro come guarire… la presenza del mio tormento è sudario, ci si stupisce che siamo orgogliosi, alteri, indifferenti al bene ed al male… il pericolo, inusitatamente incorso e poi anche affrontato, ci ha segnati, grazie a simboli segreti nei nostri occhi ci riconosciamo, anche se taciturni, anche se distanti, anche se ci incrociamo per strada, o all’angolo delle piazze, anche se non scambiamo parola, velatamente ci riconosciamo… anche se accenniamo appena un saluto o anche se non ci parliamo per niente noi conosciamo il nostro nome e la nostra stessa sessualità… e via, e via, noi, iniziati senza nome, figli di una stessa madre, compagni nella fiamma del piede”.
“Ah!” dice Skeeen. e smette di raccontare e ritira la mano dal cazzo c he sta masturbando come fosse una cosa proibita e quello allunga il piede, finalmente un bel piededel44 ben adunco e rostrato, ben scuro di pelle.
“Ah, bene!, mi prendo il nero che mi pare aver capito qualcosa” dice Skeeen e la Regina di Saba color ebano, capendo che si pensa a lui e al suo piede, saluta il suo Salomone con queste parole: “vuole sforare la mia buca, Master?”:
“Aiutooo! non lo sopporto mica il sangue quando si spacca lo sfintere! questo allora non ha capito proprio!” dice Skeeen, quinie mente e inventa una scusa e lascia perdere il piede del nero e soffre e dice nella sua mente “proprio non posso vederlo questo bel piede, se non posso averlo proprio non posso vederelo!”.
Al bancone si scuote la testa come si prevedesse una disgrazia.
Al centro della stanza, appeso dal soffitto, come un lampadario, c’è uno strettissimo letto in pelle.
”Al contrario, ciò che mi strappava il cuore” dice Skeeen e riprende il filo del discorso interrotto “era lo scoprire nella profondità della mia infanzia qualcosa di ben diverso da sogni risibili: passioni vive e per esempio la fondamentale incapacità di venire a patti con ciò che detestavo: la mia insania preoccupante, la certezza puerile di essere un giorno padrone di disporre del mondo che si stendeva e ostentava davanti a me come un campo proprio aperto, l’incapacità di rassegnarmi al destino che mi era concesso e di calmare in me una bruciante sete di esigenze.
“Al piacere attivo che spesso mi pareva impegnativo, che spesso mi pareva illusorio, che spesso mi pareva troppo limitato o che spesso mi pareva pure inaccessibile” dice Skeeen ” preferisco quello a mio parere incomparabilmente, a mio parere, più toccante in cui mi getta lo spettacolo di una noia collettiva, espressa in diverso modo dai visi sui quali deciso fermo uno sguardo affascinato… e via, e via, una simpatia che mi penetra la noia degli altri e mi rende capace di provarla con una intensità tanto più viva, tanto più persistente in quanto di certo la condivido contemporaneamente di volta in volta, tanto più profondamente di volta in volta, tanto più profonda, proprio quella noia, poiché sfuggendo in un certo senso, direi, allo stordimento provocato da sollecitazioni esterne un po? brutali, mi è concesso di assaporarla in disparte con totale lucidità e di dirigerla invece di subirla”.
Alcuni ragazzi ballano a torso nudo ancheggiando in disparte.
“All’inizio del video c’è un tizio che se ne sta fermo, come morto stecchito, se ne sta lì, appoggiato nell’angolo di un bar con un bicchiere di birra nel quale cade una schifosissima mosca scura che peserà almeno un etto, e questa schifosissima mosca scura che peserà almeno un etto schizza birra dappertutto: quel tizio è proprio lo stesso Brian che frequenta il sabato notte El Horno: quel tipo pelosissimo sempre vestito in gomma, con i capelli rossicci: hai presente?” Norman è un po’ tanto stronzo,a casa di Norman non si scopa mai.. racconta, racconta del video che ha in mente…
All’inizio, immutabile nella sua faccia da noia minima, è Skeeen a ridurre il caso a un gioco evidente del tocco del culo in maniera molto evidente e semplice mentre balla.
Alla fine escono, Culospaccato e Skeeen, con tutta quella massa di merdoni a fumarsi una siga nel piccolo cortilino de El Horno. anche lì fuori si batte, ovviamente.
Alla fine, quando ne hanno abbastanza di tutte quelle smancerie fatte di fumo e di sguardi e di toccaggi di pacchi e di pantaloni attillati, e di strizzatine di capezzoli che poi vengono tutte le crosticine, si presentano e cominciano chiacchierando di qualunque cosa gli venga in mente.
Alle imperdonabili blandizie, alle carezze, un altro tipo non molto nascosto dalle fronde del cortiletto, così sveltamente assicura all’ospite inconnu un altro cazzo ficcato in mezzo con quella santa letizia che lì si ritrova, in basso, allo sfintere.
“allontanandosi nel tempo tutto quanto quell’episodio” dice Skeeen “mi sembra che quelle voci tremanti nella mia mente, quei poveri pensieri erratici, quegli invaghimenti d’umile vetro, esprimessero inoltre una totale indifferenza verso i sentimenti umani, calpestando scrupoli, e turbamenti, e dubbi, e tutto quello che costituisce la trama delle nostre preoccupazioni, ridendosela con vistosa insolenza dell’angoscia – senza però lasciarle nessuna di quelle cupe sfide, spesso ridicole appunto per quello che contengono di ostentato e di forzato – un sesso prettamente animale… e via, e via, tuttavia non gli volevo male”.
Almeno apparentemente si è calmato il tipo che se ne stava scalciato a terra, ora guarda con occhi severi e strizzati.
Almeno è quanto crede di fare poiché i suoi stupidi occhialini, ficcati in tasca, gli permetterebbero di meglio vedere.
Almeno è quanto si compiace fino a ora di immaginare e, per convincersene, getta uno sguardo circolare nella sala: le coppie che stanno ballando lo osservano per lo più con curiosità, taluni apertamente, taluni di sottecchi, e la simultaneità con a quale i due elementi di una stessa coppia riportano lo sguardo su di lui pur continuando a parlare, gli conferma che è proprio oggetto della loro conversazione, e, naturalmente, non dubita che questa gli sia favorevole.
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Alza verso le scale che portano alla dark su di sopra la sua mano perfettamente bianca e perfettamente pelosa: è Powerfist: ” stai attento a te, predone di cazzi, puttanesco devastatore di buchidiculopelosi, assassino di checche impazzite d’amore! non si resiste impunemente al mio sguaro e alla mia camicia a quadri aperta sul cappietto di cuoio appeso al collo”,
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”Anche il tuo sorriso è una stella, anche se mi capita” dice Skeeen “di non saper riportare un tale determinato elemento vantaggioso alle giuste proporzioni, non mi lascio ingannare, dato che nutro un disprezzo innato per qualsiasi inganno verso se stessi”.
Anche se non dice che porta lo stesso pantalone da quattro settimane, lo si sente da sapore.
“Apparentemente, ero arrivato alla Stazione Cadorna col treno giù alla Fossa, senza muovere neanche un poco gli occhi iniettati di sangue” dice Skeeen “egli mi ispezionava da capo a piedi, col viso contratto in una duplice espressione di risentimento e di timore, con le mani affondate nelle tasche del chiodo, di cui facevano muovere impercettibilmente la pelle, lentamente tirò fuori la destra, per infilarla poi tra i risvolti del chiodo, da dove estrasse l’orologio che consultò di nuovo, con aria circospetta rialzò la testa con un brusco movimento e mi lanciò una lunga occhiata, penetrante e diffidente, come se avesse avuto buone ragioni di credere che avrei approfittato di un suo momento di disattenzione per darmi alla fuga poi, con un velocissimo balzo, saltò l’albero abbattuto dal temporale della sera prima e, in due passi, percorse la distanza che ci separava: la sua mano stava per afferrarmi a mezzo il corpo e farmi cadere all’indietro, all’indietro sul greto sassoso della Fossa, quando mi tuffai a terra e lo evitai scartandomi… e via, e via, non credo che questo mio primo sfuggire fosse causato da un incurabile vigliaccheria, né che lo si possa interpretare come un’abile messa in guardia destinata a permettermi di approfittare dello stupore in cui l’inutilità del suo gesto mi aveva fatto piombare, la prova è che non ci fu nessuna reazione da parte mia.
“Appena a terra tentai subito di rialzarmi” dice Skeeen “benché provassi la sensazione che le forze mi avessero in gran parte abbandonato: mi appoggiai a terra con tutte e due le braccia per far scivolare il resto del corpo, pensavo che se avessi potuto raggiungere l’albero abbattuto, esso mi sarebbe servito da appoggio e, anche se trafitto dal dolore alla schiena, cercando di sfuggire mi ero procurato proprio una bella botta, non lo avrei più lasciato sino al momento in cui avessi potuto rialzarmi.. mai più alla Fossa, mi dissi e via, e via, apro a questo punto una parentesi per precisare che volutamente mi sono dilungato non tanto sui fatti che l’hanno preceduto questo fatto dell’aggressione alla Fossa, quanto sugli stati successivi che ho dovuto attraversare in occasione di quello stesso fatto: dopo tutto è solo un episodio di omofobia”.
Arretra di un passo dopo aver raccontato questo piomba dritto dritto sul piede di un tizio che gli sta accanto.
Arriva il barista.
Arrivato al secondo piano de El Horno, il giovanotto bussa alla alla spalla di un inginocchiato: una specie di domestico di alta statura, non in livrea gallonata e dorata ma inginocchiato a pulire stivali con la lingua nel vasto salone semibuio.
Aspetta un momento ma quello non può rispondere.
“Aspettava in piedi” dice Skeeen “con le braccia incrociate sul torace pronto a lanciarsi all’assalto, con una cert’aria di piacere, come se avesse pregustato nello stesso tempo il trattamento che mi avrebbe inflitto e ai cui ordini era chiaro mi sarei sottoposto con delizia, e la propria ira che testimoniava pubblicamente del suo amore già per me che gli volevo sfuggire: aspiravo con piacere l’aria calda e ghiacciata dell’estate che mi pungeva le nari e mi cauterizzava i polmoni con i suoi aghi vivificanti lì alla Fossa”.
Attraverso tutto quel grigiore il suo occhio rosso sta scomparendo quasi opaco proprio sotto l’orizzonte disegnando una macchia color ruggine sulle pareti e i tre si slinguazzano a palla.
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”Avanti!” dice con voce sottile e gracchiante… si schiarisce la gola, “avanti” dice con voce gracchiante Powerfist.
Avanza immerso in tutto quell’odore di piscio e lo respira avidamente.
“Aveste notato” dice Skeeen “le occhiate lanciate da certi sconcertati dalle mie parole nello stesso tempo raffinate e intollerabilmente indecenti dalle quali si ritenevano altrettanto offesi che se gli avessi sputato in faccia (era evidente che aspettavano solo l’occasione di chiedermelo brutalmente).
” Aveste visto i sogghigni dei loro amici, i quali, affamati di scandalo e annusandolo a pieni polmoni – ma stavolta senza saperne bene individuare la natura – si trinceravano dietro un atteggiamento per metà ironico, per metà sprezzante, senza provare né il bisogno naturale di canzonarmi, né quello di disprezzarmi.
“Aveste visto soprattutto quegli occhi di un insopportabile splendore, che lucevano di pagliuzze d’argento, in un viso serio e attento e quelle labbra così rosse che un accenno di sangue nero all’angolo rendeva spesse, dando alla pelle bianchissima un tono livido… e via, e via, credo che allo, e me ne scuso con quelli che pretendono di non lasciarsi mai sviare da emozioni incontrollabili, credo che, in una situazione all’incirca analoga, cioè animati dallo stesso singolare bisogno di chiacchierare, felici ed eccitati al tempo dall’ostilità generale, ma desiderando ardentemente conquistare un uomo, fosse anche a costo della reputazione, avreste provato un sentimento di turbamento simili a quello cui ero in preda, turbamento i cui elementi costitutivi (splendore degli occhi, pagliuzze d’argento, viso serio, perfetta attenzione al mio racconto, labbra rosse ma, sopra a ogni cosa, accenno di sangue all’angolo della bocca), che non riuscirò mai ad esaurire con la semplice analisi, erano paradossalmente tutta l’angoscia e la febbre dell’estasi e l’orgoglio assolutamente ingenuo e la soddisfazione vanitosa e il desiderio e, anche a pensarci, non avreste saputo dominarlo meglio di me:
“Avevo deposto il giogo di uomo condannato alla perpetua reclusione del proprio desiderio” dice Skeeen “mi svuotavo lentamente il cervello (questo nonostante il dolore alla schiena) era un piacere sconvolgente quanto la più riuscita voluttà erotica.
“Avevo fretta di allontanarmi al più presto da quella frenesia incredula, da quel pensamento mai messo in atto fino ad allora, frenesia ingrata e pure ostile che certamente contribuiva all’impressione francamente piacevole che quella situazione mi provocava: GIA’ LO AMAVO GODZ!
“Avevo un bel raccogliermi e chiudere gli occhi – come un predicatore che si appresti a dare inizio a un lungo sermone – per attingere dal silenzio l’ispirazione e guadagnare tempo in modo da poter fabbricare un ricordo plausibile e fertile di sviluppi, tutti questi sforzi non avevano altro risultto che confermare in me l’opinione che la mia immaginazione non sarebbe mai più stata, da quel giorno, arida e fredda”.
“Avrei giurato lì per li” dice Skeeen “che quelle voci che sentivo scendessero dal cielo o che venissero dall’altro capo del mondo, mentre in realtà si innalzavano vicinissime nell’aria, a ondate successive, in un coro così sommessamente confuso che lo si sarebbe detto un risveglio di ali di farfalle in tumulto, a quel tipo che già amavo gli avrei parlato del mio bisogno di parlare”.
Avreste dovuto vederlo quell’altro quando gli domanda a Skeeen cosa ne pensa se adesso comincia a pomparlo, per tutta risposta.
Fabio Galli, classe 1961
è stato redattore della rivista “Poesia” (Crocetti editore)
Pubblicazioni:
Prima, nella storia, ancora, Bandecchi e Vivaldi editori, 1995
Balli e Canti, edizioni Pulcinoelefante, 1993
Caròla, Crocetti editore, 1992 Poesia.it
Impura, edizioni Tracce, collana I campi magnetici, 1986
Melancholia, versione da Paul Verlaine, edizioni l’Obliquo, 1992
Blog:
recensenda,recensioni varie ed eventuali
el horno
scrivere come dio, epistolario
Eliot. Aprile è il mese più crudele,saggio su The Waste Land
misteriousXways, è il 30 ottobre 1938
per dario bellezza, in ricordo
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