Smoking, la spiaggia di Atlantic City, foto sulle pagine gay serie, quelle con la parola ”gay” nel dominio, e il ”sì” in inglese (”Yes, i do”, per gli incolti come noi). Tanta fortuna, ci fa rabbrividire. A chi tanta e a chi
nulla, diceva il nonno. Lui lo diceva in dialetto, che non lo so scrivere. Gli sposi appartengono all’élite dell’omosessualismo italiano: uno lavora per Arcigay e sta in politica – che è il massimo della distinzione, l’altro è un giornalista musicale. Felicitazioni a loro e a tutti gli operai omosessuali che nemmeno posso fare la doccia sul posto di lavoro per non cadere in occhiate indiscrete che potrebbero portare a chissà cosa, e che i soldi per andare a sposarsi a New York, forse non ce li avranno mai. Questa élite che pretende di governare la gente gay non è affatto differente da coloro che contestano e che stanno seduti in parlamento. Se io fossi stato in loro cosa avrei fatto? Avendo avuto le possibilità mi sarei andato a sposare all’estero, ma senza foto su Internet, senza pompa magna e senza dettagli insulsi come la descrizione dell’abbigliamento (che fa tanto principessa su rotocalco rosa e io sono sicuramente omosessuale, ma altrettanto sicuramente non sono una principessa). Sarei stato più, diciamo, discreto.
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