di Vittorio Lussana
In merito ai referendum dell’8 e il 9 giugno prossimi è molto importante, questa volta, che il popolo si esprima, in un senso o in un altro. Bisogna perciò recarsi alle urne: non si può star lì a dire che il mondo della politica si sia rinchiuso in una casta, se poi non si utilizzano i pochi strumenti a nostra disposizione per la partecipazione. I referendum sono una forma di democrazia diretta, a cui sarebbe meglio non rinuciare, a prescindere da come la pensiamo.
C’è chi mi dice: “Non me ne frega niente delle abrogazioni proposte”. E invece, è proprio questo ciò a cui mirano tanti esponenti politici: all’oblio e all’indifferenza popolare. Quando il popolo si esprime direttamente, nodi e questioni vengono al pettine. Certamente, alcune volte l’opinione espressa dalla collettività è stata disattesa; oppure, si è pensato che fosse compito di altri organi dello Stato quello di adeguare o attualizzare una norma giuridica, come capitato con la Legge n. 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita. Ma se la si pensa così, allora non si può neanche affermare che una parte della magistratura intenda sostituirsi alla politica: siamo noi che la obblighiamo a sentenziare e a decidere. Soprattutto, su temi che non ci coinvolgono direttamente: troppo comodo, pensarla così.
E’ vero: noi addetti ai lavori siamo spesso critici nei confronti della cultura di fondo degli italiani, perché la riteniamo una subcultura. Considerare l’omosessualità “immorale”, per esempio, significa pensare che la gente non faccia altro che saltarsi addosso reciprocamente, senza calcolare l’esistenza di sentimenti, gusti e compatibilità tra le persone. Esattamente, come nei rapporti eterosessuali. Al contrario, i fissati con la pornografia sono proprio i moralisti, quelli che nel loro ottuso rifiuto nei confronti di ogni approfondimento, finiscono col garantire una superficialità che poi si materializza nei suoi aspetti più squallidi e volgari.
Il vero problema resta sempre lo stesso: una concezione egoistica della libertà individuale, totalmente sganciata da ogni forma di responsabilità collettiva o d’interesse nazionale. Uno Stato non funziona così: ci dispiace dirvelo, carissimi italiani. Nessuno vi accusa di essere della cattive persone, ma il vostro ripiegarvi sul privato finisce col farci degenerare verso una società sempre più qualunquista e regressiva. L’astensionismo è una resa: una forma di vigliaccheria. In termini strettamente militari, tale comportamento viene descritto con la parola: “Imboscarsi”. Ovvero, nascondersi per evitare di affrontare i problemi insieme agli altri. Come accaduto durante la pandemia da Covid 19, in cui bisognava vaccinarsi per forza, perché solamente in quel modo si poteva uscire al più presto da quella situazione.
E’ inutile esaltare le parole e gli slogan, totalmente inattuali, di un ex ufficiale dell’Esercito come Roberto Vannacci. Oltre a essere contraddittorio in sé, un simile comportamento richiama lo stesso vizio di sempre: il delegare a gente come Vannacci ogni genere e tipo di responsabilità, per poi far finta di non averlo mai visto o conosciuto casomai sbagliasse qualcosa. Fate così dai tempi di Mussolini, carissimi italiani: per voi tutto finisce sempre con un 25 luglio e nel giro di 5 minuti. Si chiama: “Voltafaccia”.
Insomma, se si è contrari a una proposta qualsiasi, bisogna battersi per dimostrare l’inutilità e i possibili torti di chi ha raccolto le firme per indire i referendum. Anche perché, questa volta si tratta di questioni svincolate dalle appartenenze ideologiche: sono problemi concreti, che il cittadino potrebbe incontrare in molte fasi della propria vita, quando lavora o si trova di fronte a forme di immigrazione irregolari o poco controllate. Il razzismo o l’apartheid non risolvono nulla: dividono la società in compartimenti stagni e basta. Meglio provare nuovi metodi per gestire e integrare l’immigrazione, al fine di selezionare il buono che potrebbe esserci dal fenomeno in sé, visto che ci stiamo anche estinguendo.
Bisogna inoltre sottolineare, che i quesiti referendari dell’8 e 9 giugno riguardano alcuni diritti del mondo del lavoro, oltre a quello di cittadinanza. Non si parla solamente di stranieri: si tratta di contratti, di licenziamenti giusti o sbagliati, di cattive responsabilità nell’assegnazione degli appalti. Trattandosi di referendum abrogativi, il voto ‘Sì’ serve per cancellare le norme esistenti, mentre con il ‘No’ se ne conferma la permanenza. In pratica, si può votare ‘Sì’ o ‘No’ in forme selettive, senza particolari vincoli di Partito: basta solamente fornire un’indicazione su come intendiamo procedere in merito a certi temi specifici.
Questa volta, insomma, possiamo esprimere la nostra volontà popolare senza che ciò comporti sconquassi particolari: non cade il governo e non muore nessuno. La sovranità popolare è questa: non possiamo continuare ad andar dietro al primo che passa, solamente perché bacia i rosari o s’imbarca in crociate assurde. L’astensione non è una scelta neutra, ma un modo per rendere superflua quella sovranità popolare di cui tanto ci si riempie la bocca a sproposito. Esattamente per questo motivo diviene fondamentale, questa volta, recarsi alle urne.
L’astensione è senz’altro una posizione legittima, che non comporta conseguenze giudiziarie, anche se chi vi scrive sarebbe favorevole alla reintroduzione dell’obbligo di voto almeno per alcuni tipi di consultazioni. Tuttavia, da un punto di vista etico, non votare significa, fondamentalmente, lasciare ad altri decisioni che possono riguardare anche noi, molto da vicino.
Perché, dunque, dargliela vinta? Perché?
(8 maggio 2025)
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