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#Visioni di Mila Mercadante: evidentemente al PD piace tenersi Grillo proprio come si tenne Berlusconi

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Una vignetta di Sergio Staino quando il conflitto d'interessi di Silvio Berlusconi era al centro della politica italiana
Una vignetta di Sergio Staino quando il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi era al centro della politica italiana

di Mila Mercadante   twitter@Mila56170236

 

 

 

In Italia ci sono delle plateali anomalie in ambito politico non riscontrabili altrove.  Silvio Berlusconi ha potuto governare ed essere contemporaneamente il proprietario di tre reti televisive e di alcuni giornali. Si è parlato per anni e anni – adesso neanche più – della necessità di avere una buona legge sul conflitto di interessi e non se n’è fatto mai nulla. Abbiamo subìto un ventennio dominato da un personaggio estremamente ingombrante durante il quale le altre forze politiche – in particolare il PD – non hanno mai posto rimedio, non hanno fatto nulla per ridimensionarlo, neanche quando erano loro al governo del paese. Lamentele infinite, critiche quotidiane e mai alcun provvedimento reale. E’ stata la magistratura a disturbare Berlusconi, non i suoi avversari politici.

 

Oggi l’anomalia riguarda il m5s e Beppe Grillo. Polemiche infinite, critiche quotidiane e mai un’azione concreta. Mi riferisco al fatto che Beppe Grillo è stato e (dopo un brevissimo periodo di distacco) torna ad essere il leader indiscusso del movimento pur non avendo i titoli per farlo. E’ fuori dal Parlamento, non è stato eletto da nessuno perché non si è mai candidato, non è il segretario del partito né svolge altri incarichi istituzionali, non si può neanche definirlo “leader informale” perché da che mondo è mondo il leader informale di una formazione politica occupa cariche all’interno di un partito oppure nel governo, si dedica esclusivamente alla politica e frequenta assiduamente il Palazzo. Grillo, nella posizione in cui si trova, ha il doppio ruolo di capo di partito e di privato cittadino che svolge il mestiere di comico, dunque ha a sua disposizione non soltanto le piazze per i comizi ma anche i teatri, nei quali coi suoi spettacoli politici ha facoltà di guadagnare mentre fa propaganda. Non sarebbe più corretto se decidesse di abbandonare definitivamente l’una o l’altra occupazione? Del resto i doppi o tripli ruoli in Italia piacciono molto, a citarli tutti si scrive un libro. Anche il nostro premier ha il doppio ruolo di segretario di partito e di capo del governo. I pochi e brevissimi precedenti nella prima Repubblica e il fatto che in Europa ciò accada molto raramente nei governi di coalizione, dimostrano che noi italiani abbiamo la tendenza all’originalità.

 

Il movimento avrebbe dovuto trasformarsi e diventare un partito come tutti gli altri: sarebbe bastato imporglielo attraverso leggi adeguate. I due fondatori e padroni hanno diretto dall’esterno deputati e senatori come se fosse una cosa normale. Non lo era, così come adesso non è normale che Grillo faccia il capo del partito da casa sua. Come mai si concede al movimento di conservare il proprio non statuto e di autoregolarsi indipendentemente da tutti gli standard senza sottostare agli obblighi che tutti gli altri partiti rispettano, in Italia e altrove? Nella primavera del 2013 il senatore PD Pagliari presentò un disegno di legge per l’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione in materia di democrazia interna ai partiti. Egli definì la democrazia come mercato, dove i titolari della sovranità (articolo 1 della Costituzione) diventano gli acquirenti, i consumatori, di prodotti politici.

In questa concezione della democrazia il partito diventa fabbrica di prodotti per conto del titolare, prodotti da vendere, non sede di un’associazione di liberi cittadini che vogliono concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Questo processo ha finito per trascendere il cosiddetto «berlusconismo» investendo ormai gran parte del sistema dei partiti.”

 

Trascorsi due anni, nel 2015, il PD dopo un lungo travaglio partorì il disegno di legge  che avrebbe dovuto obbligare il movimento a dotarsi di uno statuto, di una personalità giuridica, di regolamenti che rispettassero determinati canoni. Quel disegno di legge fu firmato da tutto il PD.

 

Naturalmente la cosa provocò molte discussioni, naturalmente si disse che quella legge – se fosse stata approvata – avrebbe tolto voce a un movimento nato per tutelare gli interessi dei cittadini contro la casta. Si disse che il PD aveva paura, che l’intento era quello di far fuori la speranza e l’onestà. In realtà il m5s sarebbe diventato un partito regolare pur conservando i suoi obiettivi e le sue caratteristiche. E’ necessario mollarlo, il non statuto, e affrontare un processo di trasformazione. Lo sa anche Grillo e lo sanno i pentastellati. Non c’è bisogno di dire che il decreto legge del PD è rimasto lettera morta, giace sotto la polvere da oltre un anno insieme ad altre migliaia di buone proposte di legge di ogni genere che non vedranno mai la luce.

 

Alla deistituzionalizzazione dei vecchi partiti e al loro indebolimento si vuole rimediare con leggi elettorali che sminuiscono il ruolo degli elettori: liste bloccate e candidati in Parlamento scelti dai vertici di partito. A questo si va ad aggiungere la mancata istituzionalizzazione dei partiti – o movimenti – nuovi. Ogni volta che c’è un contrasto troppo vistoso e inspiegabile tra ciò che si dichiara di voler fare (e che si deve fare) e ciò che invece non si fa, è lecito chiedersi il perché. Il masochismo e il doppiogiochismo del PD non bastano a spiegare sempre tutto.

 

 

 

 

 

 

(4 ottobre 2016)

 

 

 

 

 

 

 

 

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