di Giancarlo Grassi
Quando c’è di mezzo Putin è sempre meglio non fidarsi. L’uomo che ha scatenato la guerra in Ucraina incolpando gli Ucraini di essere anti-russi e che si è annesso la Crimea senza che Obama dicesse una parola, senza che l’Unione Europea dicesse una parola, senza che l’ONU facesse un’azione degna di essere chiamata tale, ha dato il via ad incursioni aeree contro l’ISIS e lo ha fatto, per dirla con una battuta, “alla Russa”. Bombardando cioè gli oppositori a Bashar Al Assad.
Lo denunciano gli oppositori, lo denunciano gli Stati Uniti, lo denuncia l’ONU, lo denunciano le associazioni per i Diritti Umani. I Russi smentiscono, naturalmente. Smentiscono anche la morte di civili. I Russi semntiscono tutto. Anche di essere dietro ogni progetto di destabilizzazione della regione, fregandosene dell’ISIS e di ciò che rappresenta in nome dell’espeansionismo neo-sovietico messo in atto dal paranoico Putin.
Non tutti, temiamo pochi, sanno che una delle mille ragioni per cui l’ISIS può decidere di ammazzare qualcuno – loro fanatismo finto-religioso a parte – è la critica o l’opposizione al dittatore siriano Bashar Al Assad, lo stesso che in televisione ha la faccia tosta di dire che lo Stato Islamico è voluto dall’Unione Europea.
La Russia contina nel frattempo i suoi raid contemporaneamente a quelli americani e a quelli della Francia (30 jihadisti morti, è l’ultimo bollettino) mentre l’ISIS tra vendita a trafficanti di cimeli antichi (per questo distruggono i monumenti) e traffico di petrolio, tra accordi con Bashar Al Assad, l’immobilismo occidentale e la paranoia di Putin, si porta a casa qualcosa come 3 milioni di dollari al giorno.
Putin è sceso in campo non contro l’ISIS, ma per salvare il dittatore Al Assad.
(1 ottobre 2015)
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