di Vittorio Lussana twitter@vittoriolussana
Come lo scrittore Antonio Pennacchi, il ‘fascio-comunista’ più amato d’Italia, ha recentemente cercato di far comprendere innanzi a una divertita Lilly Gruber, una destra moderna, democratica ed europea in genere è conservatrice, non xenofoba. Essa è per l’ordine, non per la reazione disordinata, scomposta, antisistema. La ‘vera destra’ non illude e non si illude: vuol far quadrare i conti; produrre nuova economia e ricchezza; ricondurre il Paese a un minimo di decenza. Compito precipuo della destra, tra l’altro, è quello di tenere ‘in piedi’ la sinistra; di educarla; di prepararla a succederle; di inserirla nella ‘tradizione’. Allo stesso tempo, compito della sinistra è quello di ricordare alla destra di essere tale, di non venir mai meno ai suoi doveri di custode dello Stato. Insomma: la destra è politica, la sinistra è società. In Italia, invece, dobbiamo sempre essere ‘originali’ a tutti i costi. Come recita un antico adagio piemontese: “Se non son matti, non li vogliamo”. Ed ecco dunque spiegato il sorgere di movimenti protestatari che si dichiarano “né di destra, né di sinistra”: e che ‘cazzo’ vuol dire? Che non si è consapevoli nemmeno di come ci si chiama? Il tentativo di ‘spacciare’ una patologia psichiatrica gravemente ‘dissociativa’ come teoria filosofica all’ultimo ‘grido’? Questo dirsi “post ideologici” che va tanto di moda, in realtà è un modo opportunistico e strumentale di essere ‘generalisti’, nel tentativo di intercettare ogni ‘target’ di elettorato evitando qualsiasi forma di categorizzazione culturale: la malcelata ‘furberìa’ di chi ama definirsi “una persona semplice”, al fine di differenziarsi dai tanto odiati “radical chic”. Ovviamente, un simile ragionamento non fa altro che riprodurre il più banale dei qualunquismi ‘italioti’, che regolarmente riemerge nello sfacciato tentativo di giustificare ogni ‘duplicità’, per fornire un ‘alibi’ a chi, in verità, in ogni faccenda o circostanza è sempre pronto a cambiare le ‘carte in tavola’, soprattutto quando il gioco volge a proprio sfavore. Come cantava alcuni anni fa il grande Ivano Fossati: “Uomini sempre poco ‘allineati’: li puoi cercare ai numeri di ieri, se nella notte non li avranno cambiati…”. Luigi Di Maio e il Movimento 5 stelle, tanto per fare un esempio, non intendono fare accordi con nessuno “per motivi di coerenza”, dicono. La qual cosa è già di per sé una contraddizione in termini, poiché una forza politica che afferma una cosa del genere non solo rende inutile il votarla, ma non è nemmeno democratica. La democrazia è l’arte stessa del compromesso. E non tutti i compromessi sono uguali, moralmente disdicevoli, puramente ‘mercantili’ o ‘contrattualistici’. Inoltre, un atteggiamento politico di questo tipo non è affatto “post ideologico”, come si ritiene o si vorrebbe far credere, ma si richiama al suo esatto contrario, al fine di mantenersi ‘aggrappati’ a una ‘zattera ideologica’ di purezza, di coerenza ‘rigida’, il più possibile ortodossa. Si resta nel campo del ‘cinismo naif’, della rimozione di tutto ciò che ha reso l’Italia uno dei Paesi storicamente più ricchi di cultura nel mondo. Una rimozione finalizzata a giustificare il proprio ‘fascismo interiore’, proiettata a trovare sempre e solamente nel prossimo difetti e contraddizioni. In sintesi: per voltare lo sguardo da un’altra parte e non essere costretti a riconoscere i propri difetti. Persone qualunque, appunto, totalmente prive d’identità: senza passato, senza ricordi, senza una coscienza, anarchica, politica, storica, libertaria o di cittadinanza che sia, senza miti o esempi del passato da emulare o con i quali confrontarsi. In una parola: gente senza Patria e senza eroi.
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