di La Karl du Pigné twitter@lakarldupigne
Adorati lettrici e lettori,
se vi siete preoccupati di non aver letto il solito manganello del lunedì mattina, appena arrivati in ufficio oppure comodamente infilati ancora nel letto a casa, non impensieritevi. Sono partita per un viaggio (virtuale) che avrebbe dovuto farmi guadagnare un giorno (almeno sulla carta) di vita. Con questa storia dei fusi orari, infatti, fino a un po’ di tempo fa, arrivando in aereo alle isole Samoa (cercate, cercate sul web) arrivavi il venerdì e ripartivi il giovedì! Insomma, nonostante i fusi orari siano stati inventati per mettere tutto a posto, il meridiano 180 è stato un bel casino fin dall’inizio e si è cercato di farlo cadere, spostandolo in mezzo al mare per evitare che due isole a 70 km l’una dall’altra festeggiassero il 31 dicembre a quasi due giorni di distanza l’una dall’altra. Ma non tutto è possibile e allora qualche anno fa le autorità locali e internazionali hanno aggiustato questa parte di mondo con un fuso orario che invece di seguire pedissequamente il meridiano 180 lo zigzaga a destra e manca, secondo le necessità. E poi tutto questo avviene in un paradiso, in mezzo all’oceano, per metà stato indipendente e per metà territorio degli Stati Uniti. Un mare cristallino, panorami mozzafiato, cibo stupendo e popolazione locale ospitale e con un ritmo di vita invidiabile. Ma voi direte, vabbè e ora che ci vuole raccontare questa pazza che si è fatta (purtroppo solo virtualmente) 24 ore di volo per arrivare in questo piccolo arcipelago di appena 3.000 chilometri quadrati? Ve lo dico: quanto sarebbe opportuno ogni tanto, che tutti guadagnassimo un giorno. Pensate quante cose potremmo sistemare. La delirante devastazione di Genova accadrebbe lo stesso ma 24 ore di tempo in più potrebbe fare la differenza per mettere in sicurezza e in salvo persone e cose. Sapremmo in anticipo le cazzate di Renzi e del suo governo e forse ad alcune di loro potremmo porre rimedio. Forse. E se avessimo la possibilità di girare velocemente come Superman riusciremmo a ingannare il tempo e non solo virtualmente magari tornare indietro. Mentre su Internet guardo con esagerata cupidigia le spiagge bianche e il mare cristallino di questa parte del mondo (qui dove caschi, caschi in un paradiso, anche a centro metri dal centro abitato più popoloso delle isole, Apia, che non riempirebbe nemmeno Circo Massimo, per capirci). Ai ritmi forsennati ai quali siamo abituati, ci sembrerebbe tutto rallentato, ovattato e innaturale. Invece gli innaturali siamo noi, con le nostre frette mattutine, le nostre corse sui tapis roulants delle palestre a la page, i nostri incontri all’aperitivo delle 7, le nostre serate e nottate in cui vogliamo fare di tutto e di più, come se da un momento all’altro ci mancasse la terra sotto i piedi. D’altronde anche questa frenesia che mi è presa di voler recuperare un giorno si incastra perfettamente nella percezione che il mondo e il tempo siano una trottola che gira e che deve girare in modo convulso e smanioso. Tutto si fa in fretta per recuperare tempo o per fare nello stesso tempo tanto cose, perdendo a volte di vista la qualità a discapito della quantità. Ma se potessimo veramente recuperare un giorno, essere qui martedì ma pensare a risistemare le cose del lunedì, quante cose potremmo veramente aggiustare!
Qualche tempo fa ho visto un film con Antonio Albanese, con la regia di Giulio Manfredonia, dal titolo “E’ già ieri”, una piccola e divertente commedia un po’ italiana e un po’ spagnola girata in una piccola isola dove, come in un pazzesco sortilegio, il protagonista è costretto a rivivere sempre lo stesso giorno, con gli stessi accadimenti, la stessa padrona della locanda dove che gli porta il cornetto con la marmellata, una troupe cinematografica che filma le stesse cose, gli stessi percorsi, lo stesso pranzo, insomma una situazione che lo porta dapprima alla completa pazzia ma che poi invece pian piano gli fa comprendere il valore delle cose, delle persone e gli cambia la vita in positivo. Egli coglie in questo continuo ripetersi della stessa identica giornata l’opportunità di cambiamento della sua vita e la sfrutta a pieno. Quando questo “miracolo” si compie finalmente passa al giorno successivo, completamente cambiato. Una piccola e divertente commedia, dicevo prima, ma spesso è proprio con la leggerezza della favola e della parabola che le cose si imparano meglio, guardate con i bambini… Forse quella roba lì la dovremmo recuperare un po’ tutte e tutti.
Adesso provate a fare un piccolo test su di voi (ci sarete abituati, su Facebook imperversano, dopo le liste dei libri, dei film, delle canzoni, degli attori più boni i test che vi dicono che animale siete, che pietra preziosa siete, che personaggio storico e via delirando fino all’accattivante e pruriginoso siete master o slave. Concentratevi sulla vostra giornata di ieri, fate mente locale alle cose che avete fatto e individuatene diciamo due o tre che vi sembrano più importanti. Ora immaginatevi di avere la possibilità di prendere un aereo, fare in 2 ore il giro del mondo e ritornare nello stesso posto esattamente 24 ore in anticipo. Cambiereste qualcosa? Si, lo so molti di voi correrebbero a giocarsi i sei numeri del Superenalotto o di qualsiasi altra lotteria miliardaria, chi non lo farebbe? Ma stavolta pensate in piccolo, pensate all’insignificante gesto professionale, con un amico, in famiglia, con il vostro gatto o con il vostro amore (se queste due ultime cose non coincidono avete una doppia possibilità) e immaginatevi quanto tutto questo, moltiplicato per tutti voi che leggete (che non siete certo centomila) potrebbe produrre in termini di cambiamento nella vostra vita e in quelle di tutti coloro che avete sfiorato ieri. Eh?… Ma che palle questa, adesso ci ripropone di nuovo l’effetto farfalla? Ebbene si, una singola azione può determinare il futuro in maniera imprevedibile. La metafora della farfalla ,che potrebbe essere un gabbiano o il nervoso agitare del ventaglio di una checca in un bar di Taormina, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, ad esempio che io muoia nel 2036 candendo da un tacco 14 durante una serata oppure che invece nello stesso identico momento in cui dovrei morrire accoppata dalla mia favolosità, me ne stia, sempre favolosa, a bagnomaria nel mare delle isole Samoa. Leggetevi Alan Turing, Macchine calcolatrici ed intelligenza. Lo scrisse nel 1950.
Se ci fosse un dio, per quanto egli venga descritto come il gran tessitore dell’universo, nessuno di noi secondo me era ancora nei suoi pensieri. Se ci fosse un dio.
A ieri!
(14 ottobre 2014)
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