di La Karl du Pigné
Lo scorso 16 luglio, che lo crediate o no, si è celebrato l’International Drag Queen Day. Non poteva certo mancare un giorno celebrativo dedicato alle drag queen. Merito di un giovane e simpatico ragazzo di Birmingham che dal 2009 gestisce un sito e una pagina Facebook, entrambe apprezzate worldwide.
Ma c’era veramente bisogno di un International Drag Day? In effetti, sì. Non lo dico solamente a difesa di una categoria della quale mi onoro di far parte ma perché molto spesso le drag queen sono viste un po’ come quelle più o meno tenere finocchielle che proprio non ce la fanno a non indossare abiti femminili e a sbattersi su qualche palco, tentando la scalata alla fama che il più delle volte si arena dopo qualche misero scalino e che altrettanto spesso permette al massimo di essere conosciuta e rinomata in fedeli nicchie di pubblico. Proprio non ce fanno a non indossare quell’abitino che le dovrebbe proiettare nel mondo dello show business e secondo alcuni anche del “bitchy business”. “Perché che vuoi, se ti vesti carina da donna è perché stai a cerca n’omo” -citazione della madre della solita amica lella di Ciampino – alla quale lei ha risposto: “A ma’, ma che tu la mattina vai a rimorchià, ho visto che te metti sempre in ghingheri e a me me dici che vai al mercato!”
Ve ne sono parimenti molte altre invece che all’interno delle rispettive comunità lgbtqi sono conosciute e apprezzate per le loro caratteristiche artistiche e per l’impegno che mettono al servizio delle rivendicazioni delle persone omosessuali e trans.
Col fiorire del fenomeno drag queen, che ci vede protagoniste di serate in discoteca, cene con spettacolo, addii al celibato e al nubilato, compleanni, feste di laurea, inaugurazioni di supermercati, centri sportivi, spa, negozi di abiti usati e via discorrendo, ormai alle drag queen mancano solamente i battesimi e i funerali (che prima o poi colonizzeremo) a chiudere il fantastico cerchio dei glitter e delle parrucche importabili.
Nell’immaginario collettivo qual è però l’idea della drag queen, e mi spiego meglio: quando si pensa a una drag queen si pensa alla sensuale bellezza di Ru Paul, più bello di dieci donne belle, oppure Dame Edna Everage , una delle gran dame del mondo drag, classe 1934. Mi chiedo, la bellezza e la giovinezza sono esse stesse conditio sine qua non per una drag queen? Ricordo tanto per chiarire il concetto, che Ru Paul non è più una ragazzina da un po’, essendo nato nel 1960. Lady Bunny di classe ne ha da vendere e secondo me si libererebbe volentieri di alcuni dei suoi cinquanta e passa anni.
A complicare ulteriormente la faccenda una serie infinita di sfumature tra drag queen, female impersonator, cross dresser, faux queen, skag queen e poi solamente queen o solamente androgino e bla bla bla bla.
Io, che appartengo alla cosiddetta vecchia guardia, quel gruppo nemmeno poco nutrito di drag queen che sulla piazza ci stanno da un po’ di anni e che hanno visto sfilare, restare, sparire centinaia e centinaia di “colleghe”, un po’ di chiarezza la vorrei dispensare in primo luogo per dare un senso a questo articolo, che altrimenti sarebbe un pochino “cheap”.
Le drag queen vogliono essere donne. Ma quando mai! Se lo pensano o lo fanno, stanno semplicemente facendo la fila alla cassa sbagliata. Sebbene esistano delle persone trans che si esibiscono come drag queen, il più delle volte si tratta di uomini che dopo le spettacolo ritornano quello che sono, uomini. Se partiamo dal concetto che la rappresentazione drag è a suo modo una forma d’arte e non la vita h24. Insomma esci da questo corpo e ridammelo!
Tutte, dico tutte le drag queen sono gay. Nel mio gruppo 80% gay, 20% etero. Anche se l’80% gay dice di essere etero, perché va solo con gli uomini! A completezza dell’informazione Dame Edna Everage, la nostra splendida ottantenne, è etero.
Le drag queen sono poco uomini. Altra sconsideratezza. Le drag queen non solo sono coraggiose, proprio per la modalità con la quale si mettono in gioco, ma devono essere anche dotate di equilibrio, intelligenza e palle. A questo togliete le bipolari, le psicotiche, le convinte senza ragione e quelle che comprano i loro vestiti da Zara e H&M. Queste ultime non sono drag queen, sono solo magre. E con un gusto discutibile.
Tutte le drag queen sono favolose. Come no, tutte le mele hanno la buccia. Non lo siamo, tutte favolose e come si diceva una volta, vivaddio! Sai che palle! Le favolose che farebbero tutto il giorno, se fossimo tutte favolose? E poi dovremmo capirci sugli standard minimi della favolosità, tipo se sei alta più di un metro e ottantacinque hai 6 punti, se hai gli occhi azzurri (naturali bella, leva quei coriandoli dall’occhio!) hai 4 punti. Insomma tipo i punteggi per l’assegnazione delle case popolari. “Io sono etero, sono categoria svantaggiata” due punti in più! Ma ve lo immaginate? Il range va dalla super top favolosa alla cessa senza ritegno. Fatevi avanti, c’è ancora posto…
Chiunque può diventare una drag queen. Guardandomi attorno, credo che molta gente lo pensi. Soprattutto le drag queen o presunte tali. Ma non è così. Essere una drag queen non è per niente facile, ti devi esibire davanti a un pubblico, spesso molto esigente, e mantenerlo attento per tutta la tua performance. Lo devi far sorridere, ridere, commuovere, arrabbiare e urlare a squarciagola. Andate, belle, provateci! Spesso ti devi preparare in spazi angusti, seduta sopra le confezioni di acqua minerale accanto alla friggitrice, oppure nei soliti bagni per i diversamente abili. Se a questo aggiungi che ti senti pure sta favola che tu sei il top e il resto è niente e magari sei invece tristemente nella media può capitare che una serata al Dancing “La Passera” ti si trasformi in una tragedia quasi senza ritorno. A meno che tu non sia bipolare, allora nemmeno te ne accorgi, e puoi continuare a sentirti top of the tops, l’unica vera drag queen di qualità con cachet da Caesar’s Salace/Las Vegas. Peccato che col cachet te ce compri si e no una Caesar’s Salad/McDonald. Il rimborso del vestito di fodera e tulle che ti sei dovuta fare all’improvviso, altrimenti nemmeno quelli prendevi, di soldi.
Tutte le drag queen devono saper ballare, cantare, montare coreografie, truccarsi al top e soprattutto saper scegliere il vestito giusto per ogni occasione. Ah! E naturalmente saper camminare sul tacco 16 come una libellula. Entrare in scena cimentandomi in un perfetto pas de bourrée piqué e contemporaneamente cantare live “Questo novecento” della sfarzosa Mina, mentre dodici ballerini si muovono sulla mia coreografia e il pubblico estasiato piange alla vista di tutto questo, del mio trucco senza eguali e del mio vestito che scatena sfrenate sensazioni di lussuria. Poi suona la sveglia e ti alzi. Nonostante tutto sia auspicabile e ogni professionalità un valore aggiunto per ogni drag queen, ma se sei così bravo a fare il ballerino, ma perché non fai quello invece de mettete sta gamba tesa accanto alla capoccia tutta truccata con il pensiero che ci sei solo tu? Oppure se canti intonato come un fringuello, fatti una bella serata Kare Oche!, non sarai né la prima né l’ultima, sarai nella media. Le drag parlano (a volte pure male) e fanno il playback. Per tutto il resto ci sono i professionisti, truccatori, sarti, coreografi che ti insegnano, e tu impari. Che ti suggeriscono, e tu impari. Che ti consigliano, e tu impari. E basta co sti piqués!
Piccola lista di favolosità, se non le conoscete andate, e imparate!
Panti Bliss, Verka Serduschka, Conchita Wurst, Dame Edna Everage, Ru Paul, Lady Bunny, Jodie Harsh.
(21 luglio 2014)
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