di Alessandro Paesano
Uomini e donne si sposano oppure no, hanno figli, oppure no, rimangono insieme oppure si separano o divorziano.
La prole è tutelata dalla legge che, da poco più di un anno, non fa più differenza tra quella nata dentro e quella fuori dal matrimonio civile.
Figli e figlie di genitori separati, divorziati o risposati hanno il diritto a continuare a frequentare mamma e papà che, magari, si risposano o convivono con un’altra persona.
Cosa succede quando il nuovo partner di papà è un uomo o la nuova partner di mamma è una donna?
Nascono le cosiddette famiglie omogenitoriali, padri e madri che hanno avuto prole da precedenti relazioni con l’altro sesso e che ora vivono stabilmente con un o una partner del medesimo sesso.
Altrettanto omogenitoriali sono le famiglie la cui prole è nata nell’ambito della relazione tra partner dello stesso sesso tramite la procreazione assistita: inseminazione eterologa per le donne e maternità assistita (una donna che porta avanti la gestazione per conto di una coppia di uomini) per gli uomini, oppure, più semplicemente, tramite l’adozione per entrambi i generi.
Procreazione assistita e adozioni per le quali, in Italia, le coppie dello stesso sesso devono andare all’estero perché nel nostro paese l’adozione è consentita solo alle coppie sposate e di sesso diverso mentre, almeno fino alla sentenza della corte Costituzionale di due giorni fa, l’unica procreazione assistita consentita era quella omologa, cioè quella che utilizza gameti dei due coniugi e non quelli di donatori e donatrici che rimangono nell’anonimato. Anche con la nuova sentenza però rimane intatto il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione per le persone single e per le coppie dello stesso sesso. Ci son sempre cittadini e cittadine di serie a e cittadini e cittadine di serie b.
Si stima che in Italia ci siano 100mila famiglie omogenitoriali di seconda costituzione (quando, in seguito al divorzio dei genitori padre o madre hanno intrapreso una relazione stabile con una persona dello stesso sesso) come di prima costituzione (quando cioè la prole è nata all’interno di una coppia dello stesso sesso), per usare una terminologia che è stata proposta da Giuseppina La Delfa presidente dell’associazione Famiglie arcobaleno che riunisce 800 genitori che vivono stabili relazioni con partner dello stesso sesso.
Come crescono i figli e le figlie nelle famiglie omogenitoriali?
Non risentono della mancanza di una delle due figure genitoriali?
Non cade su di loro la discriminazione del mondo esterno che deride chi ha due mamme o due papà?
Un convegno alla Sapienza di Roma, Love makes family tenutosi alla facoltà di Psicologia, organizzato nell’ambito delle attività di 6 come sei servizio di consulenza sull’orientamento sessuale e identità di genere della Sapienza ha dato risposte esaurienti e scientifiche, cioè non ideologiche o di parte, a queste domande, in una serie di relazioni agevoli che hanno visto partecipare docenti di diverse discipline psicanalitiche, antropologiche e giuridiche, e rappresentanti delle associazioni di genitori che vivono in coppie dello stesso sesso.
Il pubblico che ha riempito l’aula era composto invece da militanti e studenti in formazione sensibili all’argomento trattato.
Che la prole di coppie dello stesso sesso viva bene proprio come quella delle coppie di sesso diverso in realtà già lo si sa da qualche anno, da quando sono stati pubblicati degli studi dettagliati che hanno appurato come l’assortimento sessuale della coppia di genitori non influenza il benessere della prole. Studi fatti soprattutto negli Stati Uniti e in diversi paesi europei come la Spagna e la Francia dove queste famiglie si sono radicate nella società da molto tempo prima che in Italia (da 25 anni circa) anche grazie a leggi che le consentono e le tutelano (matrimoni tra persone dello stesso sesso, unioni civili, diritto all’adozione della singola persona o anche di coppie dello stesso sesso).
Chi pensa che un bambino e una bambina per crescere bene abbiano bisogno di entrambe le figure genitoriali cioè di un padre E di una madre deve fare i conti prima ancora che con le familgie omogenitoriali con tutte le famiglie monoparentali che si sono costituite in Italia in seguito alla legge sul divorzio del 1970. La prole di queste famiglie è cresciuta normalmente in assenza del padre o, comunque, di una delle due figure genitoriali.
Chi era contro il divorzio addusse le stesse ragioni di necessità di compresenza delle due figure genitori lai che oggi si usano contro le famiglie omogenitoriali.
Quando la Corte di Cassazione nella sentenza 3572 del 14 febbraio 2011 ha aperto verso le adozioni anche a persone single sostenendo che i tempi sono maturi perché si possa provvedere (…) ad un ampliamento dell’ambito di ammissibilità dell’adozione di minore da parte di una singola persona anche con gli effetti dell’adozione legittimante i rappresentanti delle istituzioni politiche, sociali e religiose hanno subito sostenuto che la prole per crescere bene ha bisogno di una madre e di un padre.
Allora l’Associazione Italiana di Psicologia ha emesso un comunicato stampa nel quale smentendo questo luogo comune precisa che
- le affermazioni secondo cui i bambini, per crescere bene, avrebbero bisogno di una madre e di un padre, non trovano riscontro nella ricerca internazionale sul rapporto fra relazioni familiari e sviluppo psicosociale degli individui. Infatti i risultati delle ricerche psicologiche hanno da tempo documentato come il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità dei processi e delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno. In altre parole, non sono né il numero né il genere dei genitori ‐ adottivi o no che siano ‐ a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano.
La stessa Corte di Cassazione in un’altra sentenza in risposta a un padre che voleva togliere l’affido alla madre di suo figlio perché la donna conviveva stabilmente con un’altra donna, ha ribadito che
- Il motivo è inammissibile, perché il ricorrente si limita a fornire una sintesi del motivo di gravame in questione, dalla quale, invero, non risulta alcuna specificazione delle ripercussioni negative, sul piano educativo e della crescita del bambino, dell’ambiente familiare in cui questi viveva presso la madre: specificazione la cui mancanza era stata appunto stigmatizzata dai giudici di appello. (…)
Alla base della doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. In tal modo si dà per scontato ciò che invece è da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il bambino, che dunque correttamente la Corte d’appello ha preteso fosse specificamente argomentata.
La Corte di Cassazione, come ha sottolineato l’avvocata Lollini nel suo interessante intervento, purtroppo svantaggiato dal poco tempo lasciatole a disposizione, con questa sentenza afferma semplicemente che il fatto che la prole viva, cioè venga cresciuta, con una coppia dello stesso sesso non rappresenta di per sé uno svantaggio (come pretendeva il padre) ma che bisogna considerare caso per caso e che, comunque, l’orientamento sessuale non etero, di per sé, non è una pregiudiziale per essere genitori.
Il convegno ha affrontato questo nucleo di temi da diversi punti di vista che qui, per meri motivi di spazio, non possiamo che accennare.
Anna Maria Speranza, Direttrice della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica della Sapienza Università di Roma ha presentato una serie di ricerche internazionali, delle quali qui ricordiamo le due più significative, (how) Does the Sexual Orientation of Parents Matter? di Judith Stacey e Timothy J. Biblarz che mette insieme i risultati di 10 ricerche diverse sulla genitorialità legata alle questioni di orientamento sessuale e Parenting and Child Development in Adoptive Families: Does Parental Sexual Orientation Matter? di Rachel H. Farr, Stephen L. Forssell e Charlotte J. Patterson.
Nel primo studio sono state comparate la prole cresciuta in famiglie omogenitoriali con quella cresciute in famiglie etero secondo una serie di parametri che misurano il benessere psicologico della prole le loro capacità relazionali e la loro carriera scolastica.
I dati non solo ribadiscono l’essenziale equipollenza della prole cresciuta nei due diversi contesti ma mostrano anche come alcuni di questi parametri vedono primeggiare la prole delle famiglie omogenitoriali.
Questo dato naturalmente non dimostra che le famiglie omogenitoriali sono famiglie migliori ma che queste famiglie, soprattutto quelle di prima costituzione, hanno una consapevolezza e una motivazione a essere genitori più determinata delle famiglie di sesso opposto dove l’opzione di procreare si attesta su una linea di diritti, legali e di legittimazione sociale, che alle famiglie omogenitoriali è ancora preclusa e richiede dunque una determinazione maggiore.
Il secondo studio invece compara la prole adottata cresciuta in famiglie dello stesso sesso e di sesso diverso attestandosi sugli stessi risultati di essenziale equipollenza della salute fisica ed emotiva della prole così cresciuta.
Dal versante psicanalitico sono stati toccati argomenti interessantissimi come la segregazione di genere di cui hanno parlato le profess.sse Emma Baumgartner (Direttrirce del Dip. di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione) e Anna Silvia Bombi (Prof.ssa Ordinaria di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Sapienza Università di Roma) le quali hanno spiegato come l’allineamento della prole agli stereotipi di genere avviene in età precocissima, già al secondo e al terzo anno d’età, oppure l’omertà con cui nei manuali di psicologia dinamica si affronta la sessualità dell’infanzia, proponendo un modello psicologico di bambino e bambina nei quali la sessualità sia in latenza fino allo sviluppo puberale, mentre gli studi dimostrano che l’auto stimolazione sessuale (auto palpeggiamenti delle zone erogene) è molto più frequente nella primissima infanzia e diminuisce con l’aumentare dell’età (rimanendo sensibilmente più alta, purtroppo, nel caso di infanzia sessualmente abusata dove pure la curva coll’avanzare dell’età diminuisce) facendo emerge un quadro teorico psicanalitico accademico della Sapienza molto più in linea col resto del mondo occidentale che con quello delle posizioni retrograde e non sempre scientifiche del mondo cattolico (comprese le terapie riparative, che curano, sic, le omosessualità).
Gli interventi della militanza cioè delle due associazioni nazionali di famiglie omogenitoriali che esistono in Italia presenti al convegno (Famiglie Arcobaleno e Rete Genitori Rainbow) hanno raccontato delle esperienze e portato delle testimonianze ricchissime e illuminanti che attestano la consapevolezza anche politica dei figli e delle figlie delle famiglie omogenitoriali. Ci hanno informato sulla loro vita scolastica, delle reazioni del corpo insegnanti e di quello del resto della classe e degli altri genitori, così come della nascita di libri (come Qual è il segreto di Papà di Francesca Pardi, Desideria Guicciardini) e case editrici (la casa editrice Lo stampatello), che raccontano, riconoscendole invece di nasconderle, storie di papà che hanno fidanzati e mamme che hanno fidanzate (Famiglie Arcobaleno) oppure hanno ricordato come le legittime richieste del matrimonio egualitario rischiano di essere appiattite sulla coppia monogamica di stampo eterosessista suggerendo un percorso altro che porti alla poliamorosità (Rete Genitori Rainbow).
Tutti gli interventi del convegno però sono stati presentati con una irrisolta ambiguità semantica che dà molto da pensare e costituisce, per così dire, il portato implicito del Convegno.
In tutti gli interventi si è usata la parola omosessuale, nel suo doppio e diversissimo significato di dello stesso sesso, in espressioni quali coppie o famiglie omosessuali, e di orientamento sessuale gay o lesbico impiegando questa parola ora come aggettivo ora come sostantivo senza mai esplicitarne la differenza semantica.
Anche l’espressione famiglie omogenitoriali non significa che la famiglia è composta da due lesbiche o due gay ma, più semplicemente, che è composta da due persone dello stesso sesso.
Non sempre i due significati della parola sono sovrapponibili, perché se una coppia di donne o di uomini è sicuramente omosessuale nel senso che è formata da due persone dello stesso sesso, non è però necessariamente formata da due persone gay o lesbiche, perché una o entrambi le persone che la compongono possono essere bisessuali.
Non è una questione di terminologia politicamente corretta.
Tutt’altro.
È una questione di percezione di sé, di descrizione di comportamenti e di persone tramite parole con le quali ci si racconta la propria vita e ci si presenta al mondo.
La bisessualità lega e collega i due orientamenti eterosessuale e omosessuale altrimenti descritti e vissuti in maniera antagonista (anche grazie a quella pratica linguistica che vuole la famiglia patriarcale e maschilista etero sessista), in maniera analoga al modo in cui vengono percepiti e descritti in maniera oppositoria i generi maschile e femminile (diciamo infatti i sessi opposti e molto più raramente, in maniera meno giudicante, i due sessi).
L’omissione della bisessualità come opzione di descrizione cambia sensibilmente il modo in cui ci raccontiamo la nostra storia sentimental sessuale.
Senza l’ausilio della bisessualità un uomo con prole avuta da una relazione con una donna, una volta che intesse una relazione con un altro uomo, si percepisce e viene percepito come omosessuale compiendo un salto ontologico non esplicitato, eppure dirimente, visto che implica strategie narrative che inquadrano questa nuova relazione nel segno di un profondo cambiamento che sancisce la scoperta del vero orientamento sessuale, mettendo in discussione la sincerità o la verità della relazione precedente solo per il fatto di essere eterosessuale, come se omosessualità e eterosessualità si escludano reciprocamente per cui o si è etero o si è omo e tertium non datur.
Se si prende in considerazione la bisessualità lo stesso uomo, invece, si innamora di persone di sesso diverso, senza che questo imponga una definizione che scelga uno dei due orientamenti sessuali a discapito dell’altro, ma che li include entrambi in una bisessualità, probabilmente sbilanciata a favore di uno dei due orientamenti sessuali, ma vissuto in un accordo armonico non antagonista, dove l’omosessualità e l’eterosessualità indicano solamente la prevalenza di uno dei due orientamenti sessuali, dai quali ci piace essere definiti e definite, che nascono entrambi dallo stesso substrato bisessuale, substrato comune del quale parlano, anche se in contesti e con conclusioni diverse, diversi Freud e Kinsey.
Purtroppo il pregiudizio nei confronti della bisessualità è diffusissimo anche in ambito omosessuale.
La bisessualità viene percepita come una forma di ambiguità, o, peggio, di menzogna di chi non avendo il coraggio di fare un coming out completo si attesta a metà del guado.
Nemmeno il sottotitolo del convegno è immune da questo pregiudizio: Crescere in famiglie con genitori gay e lesbiche.
Come se una coppia dello stesso sesso con prole, sia necessariamente composta da omosessuali o lesbiche.
Ci si produce così in un sovradeterminismo di orientamento sessuale che è doppiamente ambiguo.
Prima di tutto perché tradisce una non risolta omofobia interiorizzata che fa additare la diversità come forma autoescludente e ontologicamente diversa e opposta alla normalità maggioritaria che la discrimina, invece di considerare le omosessualità come normali e diffuse variabili di default dell’affettività e sessualità umane (come, pure, afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità) sganciando l’omosessualità anche dalla retorica della minoranza da difendere e facendola rientrare come uno dei due poli compresenti nella bisessualità che ci caratterizza tutti e tutte.
In seconda analisi, ambiguo perché chi nell’equazione della omogenitorialità omette la bisessualità critica però il binarismo di genere, senza rendersi nemmeno conto che continua ad applicare un binarismo di orientamento sessuale.
Come fa per esempio Taina Tervonen che, invitata a descrivere il suo progetto Fils de … Trente portraits de fils et de filles de parents homosexuels una istallazione che fotografa e racconta le esperienze di trenta figli e figlie di persone omosessuali conclude dicendo che i figli di persone omosessuali non esistono perché siamo tutti sempre e solo figli di padri e madri ma poi parla sempre e solo di lesbiche e gay (tanto che, scrive nel libro, che il titolo della istallazione invece di essere figli di avrebbe potuto essere fils d’homo. Una forma di (auto)discriminazione davvero imbarazzante.
Da notare en passant il sessismo della lingua che caratterizzato tutto il convegno che parla di professori, direttori, relatori e bambini, sempre e solo al maschile. Solo cecilia d’Avos Presiente di rete Genitori Raimbow saluta il pubblico con un buongiorno a tutte usando, una volta tanto, come spiega, il femminile come neutro.
Questo diverso modo di vedere gli orientamenti sessuali ha delle conseguenze molto importanti nel modo in cui una persona si auto percepisce e viene percepita dalla società.
Nello specifico dell’omogenitorialità contrappone i figli di etero ai figli di gay e lesbiche in un distinguo assurdo e privo di fondamento che anche Lingiardi, a conclusione del convegno, ha ammesso essere sostenuto da un punto di vista omofobo.
Torneremo sulle strategie di narrazione con le quali ci (ri)raccontiamo le nostre vite nel primo imminente numero del Gaiatalia Monthly Magazine , mensile di approfondimento del nostro quotidiano Gaiaitalia.com, del quale chi scrive si onora di essere il direttore editoriale.
©alessandro paesano 2014 ©gaiaitalia.com 2014 diritti riservati riproduzione vietata
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