
Populismo puro? Forse, che a volte però rischia di avere ragione. Di sicuro è ingrato accostare M5S alla Lega di Salvini per la sola questione “euro”.
Al di là delle uscite più folkloristiche, il dato che disarma il lettore attento è che l’analisi strettamente economica dei partiti cosidetti “populisti”, è nettamente superiore a quella degli altri. C’è poco da discutere: non sono Grillo o Salvini, ma ben sei premi nobel per l’economia ad aver spiegato quanto l’euro sia disastroso, come ci dice il il sole24ore in questo articolo (non proprio un giornale anti-sistema). In Italia abbiamo fior di economisti che si muovono in questa direzione, che coprono l’intero l’intero arco che separa destra e sinistra: da Emiliano Brancaccio a Claudio Borghi, da Alberto Bagnai ad Antonio Maria Rinaldi.
E se oggi anche il Fatto Quotidiano ha ospitato un articolo che metterebbe in guardia dai potenziali disastri derivanti dall’uscita dall’euro, basta confrontarlo con analisi tecnicamente più precise per capire la differenza. La faziosità di queste posizioni sta nel fatto che chiamano certezze quelle che in realtà sono dei rischi: tutto dipende da come si esce dall’euro, non tanto dal fatto che lo si faccia o meno. Tutelare i capitali o il lavoro? Chi resta sul territorio o chi fugge all’estero? oppure come coordinarsi con gli altri Paesi? Il punto centrale da capire è che questo modello di Europa, fondato sul sistema intergovernativo e su una BCE totalmente autonoma dalla politica che amministra una moneta di nessuno, non fa altro che drenare risorse dall’economia reale ai fondi finanziari.Che sono i veri proprietari della stessa BCE. Questo accade in, soldoni, quando un Paese o un gruppo di Paesi, non può più utilizzare la leva monetaria, ossia emettere moneta e intraprendere misure anticicliche, con l’aggravante di avere più economie legate insieme a prescindere dai parametri economici di riferimento (costo del lavoro, salari, potere d’acquisto etc…)
Su questi temi il M5S ha il pregio di essere lontano dal populismo di Salvini. Quando Grillo parla di un ritorno alla “Comunità” Europea in luogo dell’ “Unione” sembra avvicinarsi al punto, anche se il vagheggiato referendum (inutile e problematico costituzionalmente) sporca decisamente il ragionamento seguente: l’euro, come spiegano bene in tanti, è già un progetto fallito, dal quale vuoi o vuoi dovremo liberarci.
Ciò che quasi nessuno aggiunge è la necessità di coordinare una strategia europea di uscita dall’euro da parte dei vari Paesi e ritornare al periodo pre-Maastricht, quel trattato attraverso il quale si mise definitivamente il carro davanti ai buoi e si pensò di creare l’Europa unita a colpi di finanza e non di politica. Per la cronaca, la disoccupazione sta aumentando in tutta Europa, anche la Germania è in recessione, e pochi giorni fa c’era un poderoso sciopero generale a Bruxelles.
Non basta, insomma, come pur si impegna a fare il bravo Tsipras che speriamo superi comunque lo sbarramento, dire no ad austerity e fiscal compact: sono provvedimenti figli dell’idea che l’unico compito di una banca centrale sia occuparsi della stabilità dei prezzi e del famoso “pareggio di bilancio”. L’idea, cioè, che uno Stato non debba immischiarsi nell’economia insomma, l’idea quindi alla base di Maastricht e dell‘euro, che rimane il punto nodale. Basta vedere come funzionano le principali potenze mondiali per capire a cosa serve una banca centrale come la FED pronta ad intervenire stampando moneta.
E parliamo degli Stati Uniti, non di una qualche repubblichina comunista o populista che sia.
©rosario coco 2014 ©gaiaitalia.com 2014 diritti riservati riproduzione vietata
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