di Vittorio Lussana
Guido Crosetto, uno dei fondatori di Fratelli d’Italia, il Partito di Giorgia Meloni, in questi giorni ne ha scritta una giusta: la recente sentenza della Corte costituzionale ha sancito un principio di uguaglianza tra i coniugi i quali, di conseguenza, potranno decidere di registrare all’anagrafe i loro figli con il doppio cognome. La qual cosa significa, più semplicemente, che all’interno di un nucleo familiare si potrà fare quel che più aggrada: se si vorrà mantenere l’antico retaggio patriarcale dell’assunzione del cognome paterno, si potrà continuare a farlo; chi, invece, vorrà adeguarsi alla nuova opportunità consentita dalla Consulta, sarà anch’esso libero di optare diversamente rispetto al passato; chi, invece, riterrà opportuno regolarsi in un altro modo ancora, magari dopo un divorzio o altre situazioni divisive, potrà decidere per uno solo dei due cognomi. Anche quello della madre in via esclusiva, soprattutto nei molti casi di padri totalmente assenti. Insomma, più liberali di così “si muore”, parafrasando un vecchio modo di dire.
Persino un conservatore come Crosetto è dovuto scendere in campo a rintuzzare le critiche e il malpancismo di molti italiani che, in realtà, dimostrano di non andare affatto d’accordo con un altro principio che, proprio di recente, hanno reclamato ai quattro venti: la libertà. Perché il loro vero problema, oltre all’allergia verso qualsiasi genere e tipo di cambiamento, non è tanto quello di essere dei cattolici reazionari, bensì di non andare d’accordo nemmeno con se stessi. Siamo innanzi all’ennesima, evidente, “dissociazione allucinatoria”, per dirla con le parole di Sigmund Freud, da “autentici alienati”, richiamando invece quelle di Karl Marx. E cioè di non essere mai disposti ad abbandonare una vecchia consuetudine, una semplice comodità. Si temono confusioni e altre scappatoie retroattive, quando basterebbe osservare come si regolano altri Paesi a noi vicini quali, per esempio, la cattolicissima Spagna, che ha adottato il doppio cognome sin dalla fine del franchismo.
Sottolineare lo iato, quel distacco netto che qui da noi si crea regolarmente tra norma giuridica e cittadinanza, comporta la presa d’atto del perché molti italiani tendano a ribaltare ogni notizia che ascoltano o giunge loro. Essi sono abituati a diffidare di tutto e di tutti, poiché tendono a regolarsi soprattutto in base a vincoli morali o a consuetudini di mero atteggiamento, anziché richiamarsi alle leggi dello Stato laico. E il fatto che lo Stato sia un’entità che prende le distanze sia dalle religioni, sia da superstizioni e filosofie morali, continua a non essere compreso. Altro che caste o distacco dalla realtà: la norma giuridica non si sovrappone in automatico con quella morale. A dimostrazione che non sempre sono i politici, i professionisti o gli alti dirigenti in generale a risultare scollati dalla realtà, ma esattamente l’opposto: spesso è proprio il popolo a non rendersi conto di essersi fermato ai tempi in cui “Berta filava”, tanto per citare il simpatico Rino Gaetano.
Gli italiani invecchiano: questa è la verità. E le mamme imbiancano. Ma sia i primi, sia le seconde, ancora non si rendono conto che fenomeni come quelli del ’68, tanto per fare un esempio, sono sorti proprio perché sono loro a romperci, da sempre, le scatole con fisime totalmente irrazionali. I primi, cioè gli invecchiati male, ti dicono: “Ai miei tempi, c’era più disciplina”. Una menzogna abissale: ai loro tempi andava tutto meglio perché il futuro era lì ad attenderli, nonostante la nostra classe politica facesse schifo già allora. Essi potevano permettersi il lusso di sbagliare o di fallire in un’attività, per poi recuperare un nuovo status di benessere e agiatezza con una seconda impresa, mentre oggi, per le nostre giovani generazioni, una possibilità del genere non esiste neanche come idea, non soltanto come opportunità pratica.
Per quanto riguarda le mamme che imbiancano, esse temono le libertà per rigetto di coscienza. Siccome ben ricordano che, da giovani, qualche libertà segreta se la sono presa, gli unici spazi o ambiti di libertà che ritengono concepibili sono quelli in cui occultare i problemi per non affrontarli, nascondendoli sotto al tappeto. Insomma, siccome da ragazze ne hanno fatte di tutti i colori, oggi temono che i loro figli siano uguali a loro, perché “tale padre, tale figlio”: ma dove diavolo sta scritta ‘sta cosa, vivaddio???
Non si creda si tratti di una questione di poco conto: Giovanni Gentile e Benedetto Croce, due tra i nostri più importanti filosofi nazionali, furono capaci di mandare all’aria la loro personale amicizia per cose di questo genere. Cioè intorno all’idea di una libertà sganciata dal principio di responsabilità, cioè da decisioni da assumere in prima persona, sapendo calcolare sia le conseguenze, sia le ricadute concrete dei propri atti. Senza delegare nessuno, nemmeno l’anagrafe. Eccolo qui che risalta fuori il vecchio qualunquismo italiano: talmente viscido e furbesco da condurci a preferire persino le destre più gerarchiche e verticiste.
La libertà, insomma, si collega a un principio di responsabilità: giusto. Senza giungere allo schematismo ideologico dello Stato etico, che serve unicamente come modello di riflessione, per avvicinarci il più possibile a una vita quotidiana più autentica, in cui le persone si parlano, dialogano tra loro, si comprendono e stabiliscono alcune cose in base a un altro principio illuminista, discendente dalla Rivoluzione francese: quello di fratellanza tra tutti gli uomini e tutte le nazioni. Che molti italiani siano vittime di subculture e superstizioni è ormai un dato accertato. Ma quel che fa specie è soprattutto la coerenza che essi chiedono al loro prossimo o, più in generale, agli altri prima che a se stessi. Ecco qual è la vera libertà che molti declamano con fierezza: quella di potersi fare solo e unicamente i fatti propri, per mero utilitarismo e squallido opportunismo.
“Dio non gioca a dadi con il mondo”, disse una volta Albert Einstein. Né si diverte a mettere l’uomo alla prova: è solo teologia da antico Testamento, questa roba qui, tesa ad alimentare, ancora oggi, la credenza in un Dio geloso e crudele verso le nostre azioni. Le cose non stanno affatto così, carissimi italiani amanti delle comodità corporali e nostalgici degli anni ruggenti. Ma di fare una bella self analysis, neanche a parlarne. Come quei tedeschi che, subito dopo la seconda guerra mondiale, si giustificavano dall’essersi lasciati ipnotizzare dal nazionalsocialismo, affermando: “Ma io non volevo tutto questo, quando votai per Adolf Hitler”. Una forma di secolarizzazione mancata, praticamente, da cui discende la fatidica domanda: “Ma allora, che cazzo vuoi”?
“Non lo sanno neanche loro cosa cazzo vogliono”, scrisse una volta lo sceneggiatore di Pane e cioccolata, il liberale Turi Vasile. E aveva pienamente ragione.
(29 aprile 2022)
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