di Daniele Santi
Ciò che è successo nell’elezione al Quirinale e dopo la riconferma di Mattarella conferma la teoria secondo la quale essere una macchina da voti non fa di te anche un ottimo stratega, anzi è vero il contrario, almeno in questo caso.
Salvini è senza dubbio capace di calamitarsi consensi addosso, con mezzi a volte discutibili come la pessima abitudine di suonare campanelli, ma ha più volte dimostrato nelle ultime tornate elettorali, Quirinale compreso, la sua incapacità a gestire una qualsiasi strategia politica che non coinvolga il veicolare rabbia contro i migranti o l’indicare un nemico.
Avendo così contribuito alla vaporizzazione di una destra granitica che è sempre stata tale solo nelle esagerazioni verbali della leader di Fratelli d’Italia, distruggendo con le sue scorribande un’alleanza elettorale superata dalle stesse scelte politiche delle destre (dimezzamento del Parlamento senza Legge elettorale, un altro capolavoro); con le destre moderate di Toti e Brugnaro che premono e con l’avanzata verso un centrodestra moderno liberaldemocratico di Calenda e Renzi, il leader leghista pro tempore (che anche per molti del suo partito ha fatto il suo tempore) propone la convocazione di un Consiglio federale.
Lo scannatoio di tutte le Leghe dovrà dunque ridiscutere di robe irrisolte come la segreteria di Salvini, il fatto che gli amministratori locali della Lega con i Governatori in testa hanno sempre praticato la via governativa e non la via agitatrice del segretario e i nuovi assetti politico-istituzionali del post-Mattarella-bis avendo, grazie ai fallimenti salviniani, dato di fatto il via ad un semi-presidenzialismo legittimato della coppia Mattarella-Draghi e vogliamo proprio vedere con quali mezzi e quanta faccia tosta riusciranno a mettersi in mezzo dopo che la decisione l’hanno presa loro.
(31 gennaio 2022)
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