di CiCiErre #LabustinadellaServa twitter@gaiaitaliacom #Società
Pochi giorni fa ero in fila presso un ente pubblico per conto di un cliente che mi ha delegato a risolvere una questione importante. Non avevo appuntamento né idea di come in una città metropolitana fossero organizzati gli enti pubblici, così mi sono presentata davanti all’ufficio in questione mezz’ora prima della sua apertura.
Io, che credevo di essere furba, ho capito che non lo ero, e puntare la sveglia alle 6.00 per essere lì davanti alle ore 7.00 è stato tanto inutile, quanto divertente.
Divertente, perché la fila che si era creata raccoglieva le varie fattispecie della società, le sue diversità culturali, i ricchi e i poveri, i primi e gli ultimi. Non importa, erano tutti in fila, chini con la testa sul cellulare, tuttavia in fila. La fila come rappresentazione della vita, come quella attesa che travalica tutte le pazienze, ma poco importa devi stare lì. La fila e la marcia lenta verso l’arrivo, la fila e la vita quando pensi che sia il tuo turno ed invece no, non lo è.
E come ogni fila che si rispetti, filtro (e specchio) di una società che stenta a cambiare, c’è qualcuno che della fila non gliene frega niente ed in un quasi tentato stato di necessità elabora le strategie più opportune per non rispettarla.
Così quel giorno davanti a quell’Ente pubblico, alle 7 di mattina, mi sono ritrovata a fare i conti con la fila, con la società mista, coi professionisti eleganti, con la tristezza di chi ripone l’unica speranza nella risposta che avrà e chi va avanti, nella pochezza che ci vuole a non rispettare, e a non comprendere, la fila e il suo senso intrinseco. Così tra le occhiate e gli sguardi di solidarietà, così come nella vita, qualcuno non ci sta. E grida. “la fila la devi rispettare”.
E fin qui, tutto bene.
Se non fosse che un tizio sudato davanti a me, tira fuori una sorta di cartellino dalla tasca o paventa di farlo, non ricordo bene, ma ricordo esattamente quelle parole “mettiti in fila perché io sono della DIA”. Ed ho capito che non c’è tregua, che la poesia che mi ero prospettata sulla fila era finita. E toccava fare i conti con la realtà. La realtà è che il furbetto si è rimesso in fila, non perché non era giusto superarla, perché la fila ed il rispetto vanno insieme, ma poiché qualcuno ha paventato in maniera impropria il suo ruolo. Se fossi stata all’università e questa fosse stata una domanda d’esame sarei stata indecisa sulla risposta: abuso di potere o usurpazione di titoli? Oggi so -molto più semplicemente – che non c’è fine al peggio, e che quell’omone lì, tutto sudato, che avevo davanti, il peggio lo è. Il peggio della società dove non è importante che tu non rispetti un diritto, è importante non sorpassare chi ha, o pretende di avere, una posizione superiore alla tua. Ché diciamolo: la DIA ha anche un ruolo nobile, forse in una società così corrotta il più nobile di tutti.
Eppure c’è ancora chi non se lo ricorda, chi si rimette in fila, non perché sia giusto, ma perché il tizio è dalla DIA. Cioè il ruolo è più importante del diritto, e non importa saperlo, basterebbe avere un po’ di buon senso.
Dunque quel senso di civiltà che manca, il rispetto per il ruolo svolto e per chi sta intorno… Perché qui a sbagliare sono stati in due – e la poesia che manca, che si crea e che autodistrugge… E quel bambino che guardava quello della Dia, ammettendo che lo fosse, con lo sguardo di ammirazione un po’ come io guardavo i film sugli avvocati americani da bambina.
È che abbiamo una grossa responsabilità perché quella fila ha sentito tutto, e quello della Dia, ammettendo che lo fosse, ha in un secondo palesato due tristi verità:
- che ci sono uomini non degni di una divisa, di un ruolo, di un potere. Un po’ come un Ministro degli Interni che ammette che di quello che dice il Capo del suo esecutivo non gliene frega niente;
- che siamo ancora in una società in cui è meglio millantare una posizione piuttosto che farsi portatori di diritti.
Perché è chiaro, la fila “il furbetto” l’avrebbe dovuta rispettare, ma il peggio è l’uomo sudato col bambino che guarda e tutti tacciono. Perché non c’è tempo per discutere, né tempo né voglia, la fila è già troppo lunga, ed il tizio è della Dia [sic]. Il peggio è l’insulto intrinseco ad un’istituzione che ha un ruolo nobile e prezioso, la spavalderia che si fa istituzione arrecando in sé un oltraggio a chi svolge con serietà un servizio in nome dello Stato.
È un’offesa a quel bambino che si ricorderà della scena e penserà che ci si deve comportare così; è una responsabilità dello Stato che deve selezionare gli uomini migliori per chiedere scusa, cordoglio e rispetto a chi con una divisa ci muore. Come il vice brigadiere Mario Cerciello Rega che in nome della giustizia e della sua divisa la sua vita gloriosa la perde. Al contrario del tipo sudato che la sua inutile vita la impone.
(27 luglio 2019)
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