Prima di parlare del bel film di Guillermo del Toro passato in concorso in mattinata (31 agosto, ndr) torno indietro a ieri, giorno d’inaugurazione della kermesse veneziana, con una notazione curiosa che riguarda tre fanciullone, una elegante, le altre due meno, ma tutte su tacchi altissimi, salite sull’autobus proveniente dalla spiaggia a sud dell’isola, e scese, ovviamente, in zona cinema, per partecipare alla serata di gala. Era molto interessante notare le occhiate in tralice delle signore più mature, in elegante stile moda/mare, occhiate gravide di valutazioni di chi ingioiellata di pietre vere, giudicava la bigiotteria delle ragazze.
Con la consueta, coltissima, cinefila abilità, Guillermo del Toro ha rivisitato il mito del Mostro della Laguna Nera ed ha ambientato la sua storia (anche molto romantica), negli Stati Uniti del 1962, in piena guerra fredda, ad un anno dall’attentato di Dallas, in un cupo centro di ricerca scientifico-militare dove è detenuta una creatura rapita al suo ambiente naturale sudamericano. Vediamo arrivare il cassone con oblò che contiene l’animale umano-anfibio, considerato una divinità nei suoi luoghi, e qui incatenato, picchiato, torturato, con pretesti scientifici di dressage, con un manganello elettrificato. La metafora è trasparente.
Elisa all’inizio è curiosa, poi è mossa da compassione e riesce ad instaurare un dialogo con l’uomo pesce. Siccome oltre cortina le spie lavorano alacremente, un infiltrato è presente nel laboratorio, e lavora facendo il doppio gioco, ma soprattutto è umano ed è uno scienziato coscienzioso, per cui tenta l’impossibile per salvare l’uomo-animale dalla vivisezione cui lo hanno condannato gli americani, o dall’iniezione letale caldeggiata dai russi per non permettere le ricerche del nemico.
Una vicenda molto romantica, condotta con grande intelligenza ed attenzione. Con notazioni puntuali e precise a connotare i caratteri dei personaggi e le situazioni: dall’ambientazione accuratissima alla notevolissima fotografia. The Shape of Water è film di un regista cinefilo che inanella eleganti citazioni discrete e puntuali in una vicenda che ha un sapore anche un po’ espressionista. Ci sono alcuni momenti memorabili: quando la creatura entrata nel cinema rimane affascinata da un peplum; la canzone di Elisa che ritrova la parola (solo in quel momento) e la magnifica danza con il mostro, in un momento di godibilissimo musical o, ancora, lei che con il suo amico guardano i divi della celluloide in televisione e fanno un delizioso tip tap seduti sul divano. Va da sé che Sally Hawkins danza molto bene. Nel finale che non rivelo, un omaggio a L’Atalante.
Un convinto applauso alla fine della proiezione di questo film apparentemente ludico, ma quanto profondo!, nelle sue notazioni sulla diversità, il razzismo, il maschilismo. Problemi ancora irrisolti.
(1 settembre 2017)
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