di Aurelio Mancuso twitter@aureliomancuso
Chi era quel popolo che non ha riempito Circo Massimo, ma era abbastanza numeroso da suscitare tanti commenti, adesioni di politici, sostegni da parte dei vescovi italiani? Un pezzo minoritario ma assai agguerrito del popolo di Dio. Una porzione di famiglie, associazioni, gruppi, scuole, suore e preti, che è il risultato del cattolicesimo italiano che non ha mai digerito le pur timide novità del Concilio Vaticano II, che si sentiva protagonista e protetto sotto I pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI e, che avverte quasi come ostile Francesco. Eppure il papa, al netto delle sperticate mozioni d’affetto di intellettuali, giornalisti e politici progressisti, non ha spostato di un millimetro la dottrina, tantomeno la tradizione avversa all’omosessualità e ai rapporti di coppia non legati dal matrimonio. Però al papa argentino non piacciono le estremizzazioni di piazza, prova fastidio per il sempre eterno riemergere di Ruini (l’unico vero capo dei vescovi italiani), si oppone a quasi tutto il provvedimento sulle unioni civili, ma non ne fa una questione di sopravvivenza. Questo popolo di “morti” (come lo ha descritto qui Il Capo) è probabilmente consapevole di esser già stato sconfitto più volte dalla società italiana, le sue idee sono (almeno ad ascoltare le tantissime interviste nel pratone) confuse, a scienfiche, persino più arretrate dell’ultima versione del Catechismo licenziata dal fustigatore Ratzinger. Ma per i cattolici (è forse l’unica cosa che mi accomuna a questa gente) la morte è vinta dalla Resurrezione. Ciò che lascia interdetti è che questo spicchio di cattolicesimo nostrano pecca di arroganza e presunzione infinita, fino a tracimare nella blasfemia, pretendendo di stabilire chi è appunto degno di risorgere, chi è da far sprofondare all’inferno (su cui rappresentazione e esistenza si scannano da secoli i dotti nelle università cattoliche). Più che cattoliche queste folle oranti somigliavano al settarismo neo evangelico Americano, alle sette sincretiche africane, alle deviazioni teologiche che si sono sedimentate dalla fine dell’Ottocento in poi anche in Europa. I politici presenti in piazza si sentivano a loro agio, perché si sa son di bocca buona, a mala pena conoscono il Trattato di Lisbona o la Convenzione di Istanbul (che all’unamità hanno approvato), figuriamoci il Vangelo. Meglio affidarsi al comportamento convenzionale dove abbonda la condanna agli altrui comportamenti sessuali e sentimentali e la sfacciata auto assoluzione (solo in questo trovo stupefacente l’annuncio di Giorgia Meloni della sua gravidanza, per il resto sono assolutamente affari suoi e non voglio far mancare i miei sinceri auguri). La coerenza nell’incoerenza genera una dottrina fai da te, di cui i vescovi italiani non si preoccupano, pur di poter mostrare i muscoli al potere dello Stato, ma nel tempo lungo porterà guai seri dentro la Chiesa di casa nostra. Noi in tutto questo cosa centriamo? Guardate, quasi niente, siamo solo l’ultimo totem intorno cui danzare; prima ci sono state le donne cui si è cercato fino allo stremo di non concedere la libertà (ancora troppo condizionata) dalla prigione di una famiglia “naturale” spaventosa. Anche sulla genitorialità, centro dello “scandalo” con cui abbattere le unioni civili, le parole sono intrise di relativismo etico, perché i capi della rivolta del Familly Day, non possono dire fino in fondo la verità, che avrebbe fatto crollare l’intera costosa impalcatura allestita al Circo Massimo, (a proposito caro Adinolfi, noi che di manifestazioni ne organizziamo da alcuni decenni sappiamo quanti soldi ci vogliano per mettere in piedi un tal evento, quindi, risparmiaci la demagoga spiegazione che tutto è stato pagato con i soldi delle persone presenti). Cosa non hanno potuto dire i neo moralisti italiani? Che la genitorialità non può esser unicamente collegabile alla procreazione. Ammettere questo avrebbe permesso un dibattito serio su aspetti centrali e secondari che costringono noi ad accontentarci della stepchild adoption e, loro di barricarsi dietro la paura del diffondersi dell’utero in affitto. La riforma della legge sulle adozioni avrebbe smontato barricate (o perlomeno allestite quelle vere) e ci si sarebbe davvero occupati del diritto del bambino ad avere genitori pienamente responsabili dei loro doveri. Tutto questo non poteva essere retto dalle urla farfuglianti sul palco e in tv, fino a quella emblematica affermazione di Gandolfini: “Il sesso non è il piacere, è la procreazione”. Ovazione in piazza, brividi lungo la schiena di tanti che affollavano il palco e il backstage. Il sentimento profondo alla fine da qualche parte emerge sempre e ha l’odore della muffa che da secoli si sedimenta: il pessimismo sessuale.
(1 febbraio 2016)
©gaiaitalia.com 2016 – diritti riservati, riproduzione vietata