Che le porte di un ascensore si aprono senza che ci sia la piattaforma e che un bambino di 4 anni si slanci per entrare, precipitando per venti metri perché trova il vuoto sotto i suoi piedi, è una cosa che non si può descrivere nemmeno conoscendo le parole. Che la prima giustificazione sia “errore umano” che non vuole dire nulla, non vuol dire nemmeno scusa, non si può commentare nemmeno conoscendo le parole.
Ciò che si può commentare è il disprezzo tutto romano per il lavoro, la puntualità, l’attenzione alle piccole cose (che sono quelle che slavano le vite), l’insopportabile prosopopea, l’altezzosità, l’arroganza, la protervia, l’insopportabile perbenismo, l’incuria, l’inumanità, la mancanza di responsbilità, di assunzione della stessa, il lei non sa chi sono io, il piccolo puzzolente borghesismo fatto di meschinità, grettezza intellettuale e spirituale, l’ignoranza. La volgarità.
Cosa significa “errore umano”? Che tipo di “errore umano”? Un bottone schiacciato a casaccio? E perché? Stava forse chi doveva essere al suo posto facendo altro, come spesso succede? E se sì come mai? Chi controllava? C’era un controllo? Aveva ragione Alberto Fortis?
Davvero non so cosa scrivere. Non so cosa dire. La tristezza è così profonda che soltanto sottolinenando il disprezzo per la vita altrui che questa società manifesta, rabbrividendo poi per le barbarie dell’Isis come se ne fosse immune, dalla barbarie intendo, è qualcosa che davvero riempie di rabbia.
(10 luglio 2015)
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